giovedì, Marzo 6, 2025
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    Lavoro e intelligenza artificiale: il futuro dell’occupazione in Italia

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    L’Intelligenza artificiale rappresenta un’opportunità di crescita per l’economia italiana, con un potenziale aumento del Pil dell’1,8% nei prossimi dieci anni. Tuttavia, il suo impatto sul mercato del lavoro è significativo: circa 15 milioni di lavoratori potrebbero esserne influenzati, con 6 milioni di posti a rischio e 9 milioni di persone che dovranno integrare l’Ia nelle loro attività. A essere maggiormente esposti sono i lavoratori con diploma o laurea e, ancora una volta, le donne. È quanto emerge dal Focus Censis Confcooperative “Intelligenza artificiale e persone: chi servirà chi?”, che evidenzia le sfide e le opportunità legate all’automazione.

    Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, ha sottolineato come il bilancio dell’Ia per l’Italia presenti luci e ombre. Secondo le sue parole, entro il 2035 l’Ia potrebbe generare una crescita del Pil fino a 38 miliardi di euro, pari al +1,8%. Tuttavia, 6 milioni di lavoratori rischiano di essere sostituiti, mentre 9 milioni potrebbero vedere l’Ia entrare nelle loro mansioni. In totale, circa 15 milioni di lavoratori saranno coinvolti dagli effetti di questa rivoluzione tecnologica. Gardini ha quindi ribadito la necessità di mettere la persona al centro dello sviluppo, affinché l’intelligenza artificiale diventi uno strumento al servizio dei lavoratori e non viceversa.

    Le professioni più a rischio di essere sostituite dall’Ia sono quelle intellettuali automatizzabili, come contabili e tecnici bancari, mentre avvocati, magistrati e dirigenti rientrano tra le figure professionali a più alta complementarità con la tecnologia. Il livello di istruzione gioca un ruolo cruciale nell’esposizione ai cambiamenti: tra i lavoratori meno a rischio, il 64% non ha raggiunto un titolo di studio superiore e solo il 3% è laureato. Al contrario, tra coloro che rischiano maggiormente la sostituzione, il 54% possiede un diploma e il 33% una laurea.

    Le donne risultano più vulnerabili rispetto agli uomini, rappresentando il 54% dei lavoratori più esposti alla sostituzione e il 57% di quelli con mansioni a elevata complementarità con l’Ia. Ma il divario non è solo di genere: a livello europeo, l’Italia è indietro nell’adozione dell’intelligenza artificiale rispetto ad altri Paesi. Nel 2024, solo l’8,2% delle imprese italiane utilizzava l’Ia, contro il 19,7% della Germania e una media UE del 13,5%. Il ritardo è particolarmente evidente nei settori del commercio e della manifattura. Secondo il Government Ai Readiness Index 2024, l’Italia si colloca al 25° posto, dietro a 13 altri Stati europei.

    Nonostante questo gap, le imprese italiane stanno cercando di recuperare terreno: per il biennio 2025-2026, il 19,5% delle aziende prevede di investire in beni e servizi legati all’Ia. Il settore informatico si distingue con una percentuale del 55%, mentre la ristorazione registra solo l’1,4%. Le grandi imprese dimostrano una maggiore propensione agli investimenti rispetto alle piccole e medie imprese. Tuttavia, il ritardo dell’Italia è evidente anche nel campo della ricerca e sviluppo: il Paese investe solo l’1,33% del Pil, ben al di sotto della media europea del 2,33% e dell’obiettivo UE del 3% per il 2030. La Germania ha già superato questa soglia con il 3,15%, mentre la Francia si attesta al 2,18%.

    L’intelligenza artificiale è già entrata nel mondo del lavoro: secondo un’indagine Censis, il 20-25% dei lavoratori utilizza strumenti basati sull’Ia per attività quotidiane. Il 23,3% la impiega per scrivere email, il 24,6% per messaggi, il 25% per la stesura di rapporti e il 18,5% per la creazione di un curriculum. L’uso dell’Ia cresce tra i più giovani: il 35,8% dei lavoratori tra i 18 e i 34 anni la utilizza per scrivere rapporti, contro il 23,5% di chi ha più di 45 anni. Anche nella scrittura di email, il 28,8% dei giovani ne fa uso, rispetto al 21,9% degli over 45. Non emergono, invece, grandi differenze tra i diversi livelli di istruzione.
    Guardando al futuro, si stima che entro il 2030 circa il 27% delle ore lavorate in Europa sarà automatizzato. I settori più esposti sono la ristorazione (37%), il supporto d’ufficio (36,6%) e la produzione (36%), mentre quelli meno soggetti all’automazione dovrebbero essere la sanità e il management.

    Gloria Giovanditti

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