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martedì 15 Aprile, 2025
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Anziani, fragilità e intelligenza artificiale: un convegno per un nuovo umanesimo tecnologico

Il convegno promosso da Fondazione Don Gnocchi insieme a MI’mpengo, Lions Distretto 108 IB4, Fondazione Pensiero Solido e Amici di Don Palazzolo è stato occasione per riflettere sul ruolo dell’innovazione nel prendersi cura delle persone più fragili.

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Il mondo della cura, della tecnologia e della cittadinanza attiva in dialogo tra loro per riflettere sul ruolo dell’innovazione nel prendersi cura delle persone più fragili. Organizzato dalla Fondazione Don Gnocchi insieme a MI’mpengo, Lions Distretto 108 IB4, Fondazione Pensiero Solido e Amici di Don Palazzolo, il convegno dal titolo “Intelligenza artificiale, anziani e fragilità. Una sfida per la nostra umanità”, svoltosi nei giorni scorsi presso l’Istituto Palazzolo della Fondazione Don Gnocchi, ha rappresentato un’occasione concreta di alleanza tra competenze diverse, in un tempo in cui la solitudine cresce e la coesione sociale si indebolisce.

Al centro della discussione, il potenziale dell’intelligenza artificiale nell’assistenza agli anziani, una sfida che, se affrontata con consapevolezza, può rafforzare i servizi e migliorare la qualità della vita. Diversi i relatori intervenuti, tra cui Cristina Messa, Ruben Razzante, Giuseppe Barbalinardo, Antonio Troisi, Rossella Vitali, Vito Santo Pietraforte, Carmelo Ferraro, Antonio Palmieri e Antonio Barbalinardo.

“Abbiamo bisogno di una rete viva – ha affermato Carmelo Ferraro, presidente di MI’mpengo – fatta di persone, famiglie, volontari, professionisti della cura, tecnologi e amministratori. Anche sensori e algoritmi, certo, ma purché restino strumenti e non sostituti delle relazioni”. L’intelligenza artificiale può accompagnare, supportare, può migliorare l’efficienza dell’assistenza domiciliare, facilitare il monitoraggio a distanza, ricordare farmaci e appuntamenti e persino alleviare, ma certamente non può sostituirsi a ciò che ci rende umani: “Non potrà mai restituire la carezza, lo sguardo, la pazienza di chi ti conosce da una vita – ha aggiunto -. Per questo serve una rete che sia tecnologica e insieme sociale: una rete dove il “robot” ricorda la pastiglia, ma è il vicino che porta il pranzo caldo.”

Ferraro ha evidenziato la necessità di mantenere viva una cultura della relazione, in cui le tecnologie siano un mezzo e non un fine: “Se iniziamo a delegare all’intelligenza artificiale anche l’ascolto, la conversazione, l’empatia, finiremo per disimparare a prenderci cura – ha detto -. E non è una questione solo psicologica: è una questione di democrazia, perché una società che disabitua al contatto e alla prossimità diventa più fragile, più chiusa, più diseguale”.

E in chiusura ha lanciato una riflessione che ha lasciato il segno: «E se fosse proprio l’IA, con tutti i suoi limiti, a ricordarci quanto sia insostituibile la presenza umana? Se ci costringesse a rimettere al centro ciò che avevamo dimenticato: la relazione, il legame, la fragilità condivisa?».

Il convegno si è proposto come primo passo verso un patto civico per un uso etico e inclusivo della tecnologia. Un modello che nasce a Milano, ma che guarda oltre, verso altre città e comunità.

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