Quale futuro per il PNRR?
Ragionare sul futuro di Next Generation EU e del PNRR impone una serie di considerazioni. La prima di queste deve partire dalla distinzione tra il suo futuro prossimo, il quale in larga parte è già scritto e si sostanzia in una serie di obiettivi, milestone e target concordati con la Commissione europea e che devono essere raggiunti secondo scadenze predefinite, pena la mancata erogazione delle prossime tranches dei finanziamenti; e il suo futuro di medio-lungo termine che, se prevede l’orizzonte della fine del 2026 come deadline per la realizzazione degli investimenti e delle riforme concordate con l’UE, è altresì condizionato da eventi che sotto molti punti di vista erano imprevedibili al momento delle stesura dei Piani ma che ora impongono revisioni e aggiustamenti, per adeguare gli strumenti di sostegno a una realtà mutata e fluida, in rapida evoluzione.
Nella seconda metà del 2021 è iniziato un trend al rialzo dei costi dell’energia e delle materie prime, che giocoforza si è riverberato “a cascata” lungo tutta la supply chain fino a incidere sui costi vivi delle imprese e in ultima analisi sulle tasche dei consumatori.
Più che esaminare la cause di questo incremento dei costi energetici, ci preme qui sottolineare l’impatto che ciò ha inevitabilmente avuto sull’attuazione del PNRR: Next Generation EU, e a seguire i Piani nazionali di ripresa e resilienza, si basavano – in sede di loro predisposizione e prima formulazione – sul “listino prezzi” di energia e materie prime del primo semestre 2021 (quando non della fine del 2020); uno scenario che gli eventi hanno drasticamente mutato.
La problematica emerge chiaramente se si esaminano le opere infrastrutturali previste dal PNRR italiano.
Ad esempio, per le sole opere infrastrutturali della Missione 3 (25,4 miliardi complessivi) gli aumenti dei costi maturati rispetto alle cifre indicate nel Piano ammontano già a 3 miliardi: 2,4 circa derivanti dai maggiori costi che dovrà sostenere Rete ferroviaria italiana sulle 19 gare in programma per il 2022 in seguito all’aumento dei prezzari di gennaio (aumento medio del 18% rispetto ai valori preventivati nel Piano); altri 500 milioni sono la stima per i maggiori costi relativi alle grandi opere in corso.
La crisi militare in Ucraina ha ulteriormente rimescolato le carte in tavola. Sia perché ha dato un’ulteriore spinta al rialzo ai costi energetici e delle materie prime, sia perché prefigura nuovi scenari geopolitici che al momento è arduo prevedere ma che potrebbero ridisegnare in maniera profonda i rapporti economici a livello globale, imponendo scelte inedite e decisioni drastiche.
Ne è un esempio il quadro temporaneo di crisi adottato il 23 marzo 2022 dalla Commissione UE, il quale (fino al 31/12/2022, salvo proroghe) consentirà ai Governi degli Stati membri di sostenere l’economia nel difficile contesto congiunturale, sfruttando la flessibilità delle norme sugli aiuti di Stato.
Un quadro in evoluzione, dunque, che ha messo in evidenza il carattere “fluido” degli strumenti di sostegno messi in campo dall’Unione Europea, fedeli ai loro principi fondanti (la transizione ecologica e la digitalizzazione in primis) ma anche pronti ad adattarsi a mutati scenari; e che anche per questo motivo rappresentano un’opportunità che imprese e pubbliche amministrazioni non possono permettersi di non cogliere.
Davide Bonetti – Centro studi SA Finance (Gruppo SAEF)