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    Guerra Ucraina: timide ipotesi di tregua tra le bombe

    Guerra Ucraina: timide ipotesi di tregua tra le bombe

    La cronaca del giorno 65 dall’inizio dell’invasione russa si apre con la drammatica testimonianza delle donne dei soldati del battaglione Azov asserragliati nell’acciaieria di Mariupol insieme a centinaia di civili. Sul piano umano fa venire i brividi l’eroismo delle mogli e compagne ucraine che hanno scelto di parlare apertamente all’Occidente (giovedì sera ospiti di Vespa a Porta a Porta) mettendo sul piatto la vita dei loro uomini in cambio della libertà del loro Paese. Non si può commentare una tale scelta, bisogna solo ascoltare la drammatica esperienza che stanno vivendo e mettersi una mano sulla coscienza. Perché al netto di chi ha torto o ragione in questa sporca guerra, delle speculazioni propagandistiche di entrambe le parti, rimane il fatto che l?ucraina è stata invasa, la gente muore e nessuno tra i potenti del pianeta ha mosso passi concreti per superare la tragedia del conflitto e avviare negoziati a garanzia dei diritti umanitari e politici che da questa guerra sono stati messi in gioco.

    Solo la Santa Sede, per bocca del segretario di Stato Vaticano, card. Parolin, rivendica la necessità di fermare le armi per avviare un processo che porti “a negoziare una pace giusta, duratura, resistente. Precondizioni rigide non possono portare a nessuna conclusione, spero ci sia la volontà di questa flessibilità”. Parolin si è detto “pessimista” sul negoziato, ribadendo che tuttavia “dobbiamo insistere su questo, altrimenti la guerra continuerà a divorare i figli dell’Ucraina”.

    Le conseguenze economiche stanno imponendo dei ripensamenti sulle strategie sin qui adottate da parte di tutti i contendenti: la Russia si avvia verso una pesante recessione con l’inflazione oltre il 20% entro fine anno; gli USA stanno spendendo più dollari per gli aiuti all’Ucraina di quanto non sia costata la guerra in Afghanistan; l’Europa è in emergenza per l’approvvigionamento energetico.

    Nessuno può permettersi che la guerra si trascini ancora a lungo e per questo motivo la seconda fase della guerra procede con tentativi da ambo le parti di assestare qualche colpo che costringa il nemico alla resa, almeno parziale. Adesso è chiaro che difficilmente ci sarà un vincitore e un vinto, ma proprio per questo nessuno, Putin in testa, vuole passare alla storia come lo sconfitto.

    E così, dopo alcuni giorni di quiete, sono ripresi i lanci di missili su Kiev, una provocazione russa alla visita del segretario generale ONU, Antonio Guterres, al leader Zelensky.

    La controffensiva ucraina si connota per alcuni raid in diversi check point russi, salutati come prova di resistenza all’avanzata sempre più incerta degli uomini di Putin.

    Secondo fonti ufficiali ucraine, oggi sarà fatto un tentativo di evacuazione dei civili intrappolati nelle acciaierie Azovstal di Mariupol, anche perché cibo e acqua stanno scarseggiando e non sono possibili rifornimenti in questa situazione. Non è escluso che nelle prossime ore i russi, che hanno isolato il quartiere intorno alle acciaierie, possano tentare un blitz per l’attacco finale all’armata Azov.

    Si mantiene alta la tensione nelle zone a sud est, in particolare sulle sponde del Mar Nero, dove un sottomarino russo ha lanciato missili su obiettivi militari ucraini.

    L’avvicinarsi del summit del G20 prosegue con il dibattito sulla presenza della Russia al tavolo, con gli USA decisamente contrari e la presidenza indonesiana che vorrebbe invece invitare sia Putin che Zelensky al summit previsto a novembre a Bali.

    La polemica a distanza tra gli americani e i russi viene pericolosamente alimentata dalla decisione di Biden di usare asset russi a favore della resistenza ucraina, fatto che il Cremlino denuncia come pericoloso precedente di espropriazione della proprietà privata. Suona paradossale, ma è così.

    Intanto, nel Donbass oltre 700 studenti ucraini sono stati obbligati a donare sangue a beneficio di soldati russi feriti, in totale sfregio dei diritti umanitari.

    Rimangono aperti numerosi fronti di guerra in molte città e villaggi del Donbass, dove si moltiplicano gli appelli per gli aiuti umanitari e per un nuovo fattore di rischio determinato dalle mine trappola disseminate a tappeto dai russi.

    Occorrerà attendere ancora diversi giorni, forse settimane, prima di poter sperare di entrare in una nuova fase della guerra, quella della presa di coscienza che i danni provocati finora sono già incalcolabili e che l’unica vittoria possibile è quella in cui le armi davvero smettano di frastornarci.

    Pietro Broccanello

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