Ucraina, la confusione aumenta l’incertezza
Manca davvero poco al raggiungimento del centesimo giorno di guerra: detto così suona come un numero pazzesco, ma molto probabilmente questa cifra è destinata ad essere traguardata da altri tristi record per una situazione che intreccia devastazione militare, sommovimenti economici, distruzione sociale e instabilità politica globale.
Il Donbass è ormai lo scenario di guerra da diverso tempo e lo stallo che regna sotto i colpi delle armi pesanti russe è il segno che né l’offensiva dell’esercito di Putin né le milizie ucraine riescono a sopraffare il nemico, in una guerra di posizione che porta con sé un logoramento da ambo i lati, senza che nessuno possa far segnare un punto di svolta a proprio favore.
Non a caso Zelensky anche nel recente colloquio con Draghi ha ribadito la necessità di ottenere dagli alleati altre armi e possibilmente armi pesanti, antimissili e a lunga gittata, così da poter respingere ad armi pari l’armata russa e farla retrocedere rispetto alle posizioni attualmente occupate.
Se sul fronte militare i bombardamenti proseguono mietendo altre vittime in diverse città ucraine, sul piano diplomatico l’unico canale di negoziato rimasto attualmente aperto riguarda solamente il possibile scambio di prigionieri tra russi e ucraini, mentre diventa ogni giorni che passa sempre più allarmante la situazione che riguarda il blocco dei porti.
Sono oltre 20 milioni le riserve di grano bloccate ad Odessa e in altri porti ucraini che rischiano di diventare inutilizzabili, con il rischio sempre più rilevante di una possibile ulteriore catastrofe umanitaria qualora il grano stivato nelle navi ferme non venisse consegnato, soprattutto nei paesi più poveri del mondo.
Le responsabilità vengono rimpallate tra Putin e Zelensky, reo, secondo Mosca, di aver riempito il mare circostante di mine che impediscono alle navi di prendere il largo. Ma la verità è che se venisse aperto un corridoio marino, prima ancora che i cargo possano partire, vi sarebbe l’immediato assedio delle navi russe attualmente stanziate al largo delle coste e impossibilitate ad avvicinarsi proprio grazie al campo minato predisposto dagli uomini di Zelensky.
Mosca prosegue con la sua posticcia campagna di comunicazione, asserendo di essere pronta a trattare a condizione che vengano tolte immediatamente le sanzioni economiche; una dichiarazione che suona come una provocazione, visto che le sanzioni sono conseguenza dell’invasione russa del territorio ucraino e non il contrario.
La verità è che l’incertezza sull’esito del conflitto spinge entrambi gli schieramenti a non demordere e non retrocedere dalle proprie posizioni, avviando una guerra di posizione che difficilmente potrà sbloccarsi a favore di uno o dell’altro. Ecco perché gli esperti ritengono che le operazioni militari potrebbero davvero durare ancora diversi mesi.
Le diplomazie sono sempre al lavoro, ma trovare spazi di ragionevolezza che possano aprire un dialogo costruttivo in questo momento è quasi impossibile.
Occorrerà capire se effettivamente gli americani vorranno elevare il livello di coinvolgimento nel conflitto e inviare armi più potenti ed efficaci che possano portare l’Ucraina a riconquistare almeno parte del Donbass e costringere Putin ad alzare bandiera bianca. Ma questa ipotesi comporterebbe l’umiliazione della Russia e questo Putin non può permetterselo, costi quel che costi.
L’ipotesi avanzata giorni fa contenuta nella proposta italiana di una fine del conflitto in quattro punti ha fatto perdere per il momento le tracce, segno ulteriore che nessuno dei contendenti si sente ancora allo stremo al punto da rinunciare a portare a casa i propri obiettivi.
Pietro Broccanello