Governo: crisi scampata, per ora
Il caldo, si sa, fa brutti scherzi: l’ondata che dopo il Covid, la guerra, le bollette alle stelle, sta determinando l’emergenza siccità, quasi fossimo un nuovo Egitto (sperando che le “piaghe” attuali si fermino qui e non arrivino alle bibliche sette), non è sufficiente per garantire un senso di responsabilità politica in uno dei momenti storici più drammatici che si sia visto dal dopoguerra.
La notizia di Draghi salito nelle scorse ore al Colle dal Presidente Mattarella ha fatto pensare a una possibile fine anticipata del Governo attuale, con conseguente crisi politica e voto dopo l’estate.
Il casus belli è stato generato dal leader dei 5 stelle Giuseppe Conte che ha pubblicamente affermato di non voler votare il Decreto Aiuti alla Camera per la conversione in legge delle misure in esso contenute.
L’esito delle urne alle ultime elezioni politiche aveva tributato il successo del movimento grillino che, numeri alla mano, risulta determinante per la tenuta della maggioranza.
Va detto che sullo stesso provvedimento i 5 stelle avevano votato la fiducia una settimana fa, ma evidentemente ragioni di sopravvivenza politica dello sbrindellato partito di Conte hanno imposto una virata brusca in direzione opposta.
Gli antecedenti risalgono a fine giugno, quando in una intervista al Fatto Quotidiano era uscita la notizia che Draghi avrebbe chiesto a Beppe Grillo la testa di Conte che, dunque, starebbe consumando la sua vendetta personale nei confronti del suo successore sullo scranno di Palazzo Chigi.
Lo stesso Draghi, dopo aver rappresentato a Mattarella l’origine delle fibrillazioni nella maggioranza, ha provveduto a gettare acqua sul fuoco e a chiudere alcuni pericolosi fronti aperti sui temi dell’agenda politica legata alle misure di sostegno a famiglie e imprese in questo momento storico pesante.
Il premier, infatti, dopo aver ricevuto il documento in 9 punti dei 5 Stelle, ha commentato rilevando diversi punti di convergenza e ha ripreso gli incontri di concertazione sindacale sui temi di confronto.
Reddito di cittadinanza, salario minimo, decreto dignità, aiuti a famiglie e imprese, transizione ecologica, superbonus 110%, cashback fiscale; intervento riscossione, clausola legge di delegazione sono i 9 punti affrontati.
Nella mattinata di ieri, Draghi ha così potuto incontrare i sindacati per discutere le azioni necessarie ad affrontare la crisi economica: nell’ordine del giorno compaiono taglio del cuneo fiscale, salario minimo, riforma del fisco e caro bollette.
Il punto di mediazione proposto dal premier ai grillini sembrerebbe essere il reddito minimo, la nuova frontiera di battaglia che i pentastellati vorrebbero intestarsi, non contenti di aver già fatto danni enormi con il reddito di cittadinanza.
Dopo altre consultazioni, tra cui quelle con i vertici del Pd, Draghi ha tenuto una conferenza stampa nella quale ha esplicitato la volontà del suo governo di attivarsi per il salario minimo. Affermazione che suona come punto di mediazione e accordo raggiunto con i grillini.
L’insieme delle misure in discussione ammontano a un valore di spesa che si aggira sui 33 miliardi a sostegno di famiglie e imprese.
I confronti con le componenti sindacali hanno portato a scegliere tra le misure prioritarie su cui investire l’aumento degli stipendi netti per i lavoratori dipendenti, cioè il taglio del cuneo fiscale. Ricordiamo che attualmente, fatto 100 il netto in busta paga, l’impresa paga un ulteriore 85% tra imposte e contributi previdenziali: troppo, ben al di sopra di qualunque altro paese europeo e ben lungi da garantirci qualche chance di tornare competitivi a livello internazionale.
Da tempo i sindacati invocano un nuovo patto sociale che metta in sicurezza i lavoratori e le imprese dai rischi di una crescita incerta, di una forte inflazione e in definitiva di una prospettiva di recessione economica.
Per questo, la tenuta della nostra economia passa necessariamente dalla riduzione dei costi del lavoro e da una minore pressione fiscale e contributiva sul potere di acquisto degli stipendi dei lavoratori e delle loro famiglie.
Altri temi non secondari hanno trovato spazio nel dibattito sociale, come ad esempio il destino del settore auto, la transizione energetica, le future pensioni.
Venerdì prossimo è il termine ultimo per votare la conversione del decreto Aiuti, pena la sua decadenza.
A questo punto ci si aspetta che i grillini decidano per l’astensione, rinunciando a una pericolosissima sfiducia.
Siamo di fronte all’ennesimo momento delicato e il senso di responsabilità dovrà prevalere sugli istinti di partito. Speriamo che non siano sempre e solo i soliti partiti tradizionalmente leali a consentire al Governo di proseguire il suo cammino. Ma fino a venerdì mai dire mai.
Pietro Broccanello