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    LA RIFORMA DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

    LA RIFORMA DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

    Era il 2004 quando il Parlamento affidò al Ministro della Salute il compito di fissare, sentita (termine modificato dalla Corte Costituzionale in “d’intesa” con) la Conferenza Stato/Regioni, gli “standard qualitativi e quantitativi dei livelli essenziali di assistenza”.
    Finalmente, con provvedimento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 22.6.2022, il Ministro ha provveduto.

    Sull’argomento è subito da rilevare che:

    – Sono stati necessari ben diciotto anni per fissare i “livelli essenziali di assistenza”, la cui
    competenza è senz’altro dello Stato e riguarda l’intero territorio nazionale;
    – La Conferenza Stato/Regioni non ha espresso la necessaria Intesa, obbligando il Governo, nella sua collegialità, ad approvare il Regolamento, permettendo, così, al Ministro della Salute di emanare, di concerto col Ministro dell’Economia, il provvedimento in questione;
    – Il Decreto, però, va ben oltre il compito “costituzionale” di fissare i “livelli essenziali di
    assistenza” ed è probabile che le Regioni, avendo rifiutato l’Intesa, per aver probabilmente
    costatato che proprie competenze in materia erano state lese, si ricordino che la “tutela della salute” è materia di “legislazione concorrente”, per la quale ogni Regione provvede
    direttamente a legiferare. In pratica è auspicabile che le Regioni (soprattutto quelle con
    aspirazioni “autonomistiche”) oltre a chiedere nuove e ulteriori competenze (in realtà
    chiedono spesso soprattutto nuove risorse finanziarie) abbiano ad esercitare quelle che già a loro sono attribuite;
    – Il Provvedimento intenderebbe cambiare soprattutto l’organizzazione territoriale della sanità, assegnando in pratica alla burocrazia ministeriale il compito, proprio, invece, della politica nazionale e regionale, di intervenire per migliorare il livello qualitativo e quantitativo della nostra sanità.

    Dopo aver letto il Decreto ed esaminati i dettagli, pieni di ripetizioni, di rinvii e di direttive
    difficilmente applicabili (abile la divisione in norme solo descrittive e norme a valenza prescrittiva) credo siano possibili alcune osservazioni:

    – Dopo quarant’anni dalla Riforma Sanitaria continuano a esistere i medici e gli operatori
    sanitari ospedalieri e i medici del territorio (ex mutue), rinunciando, invece, a definirli tutti
    medici dell’USSL, con presenze possibili, per tutti, sia nel presidi ospedalieri sia nel territorio.
    Sarebbe bene, cioè che chi “cura” potesse fare anche “prevenzione” e superare la divisione tra le diverse prestazioni. E’ evidente, cioè, che, anche a tale scopo, i futuri medici di famiglia dovrebbero essere, alla stregua degli altri operatori, prevalentemente e gradualmente dipendenti e la prevenzione essere compito dell’intero sistema sanitario e non solo di una sola branca (territoriale);

    – Dovrebbe, inoltre, essere opportuno ripristinare i Consigli d’Amministrazione delle USSL, in rappresentanza soprattutto dei Comuni. Nel privato (su qualsiasi settore), spesso citato ad esempio, più forti sono i poteri del Direttore Generale o dell’Amministratore Delegato, più necessaria, opportuna, autorevole è la presenza di un Consiglio d’Amministrazione, che, nel caso della sanità, dovrebbe saper dialogare con i cittadini, i pazienti, le OO.SS., i comuni e non solo con la Regione. I Sindaci sono ancora (ma senza reali poteri) Autorità Sanitaria Locale e sono i rappresentanti e i difensori (con diritti e doveri relativi) dell’intera comunità amministrata;

    – La Prevenzione, che si vorrebbe rilanciare come obiettivo, dovrebbe anche comportare intese e collaborazioni soprattutto con i Comuni, con la Scuola, con il mondo dello Sport, con attività e prestazioni programmate, concordate e idonee a prevenire interventi successivi e probabilmente a ridurre costi futuri e disagi alle persone;

    – L’opportunità di precisare e riconoscere anche il ruolo della sanità privata (meglio dire
    convenzionata), con servizi equivalenti e con attività e prestazioni prevalentemente
    complementari.

    E’ evidente, infine, che affinchè il servizio sanitario nazionale conservi alta qualità e recuperi fiducia presso i cittadini, va ridotto il “tempo speso” tra il momento in cui si ritiene di aver bisogno di una prestazione e il momento in cui vi è la risposta alla preoccupazione, ad una paura. La necessità, cioè, di ridurre i “tempi d’attesa”, con l’esigenza che soprattutto il “pubblico” sia ben organizzato ed efficiente, con un ottimale utilizzo delle attrezzature e non abbia bisogno di ricorrere a “cooperative” o a servizi,
    “mordi e fuggi”, pagati a gettone. Le persone ormai desiderano “star bene” e non soltanto “non star male”. Tutto questo può essere, però agevolato, riconoscendo maggiore autonomia decisionale, più discrezionalità alle strutture e ai dirigenti locali, con certezza di fondi e minori “riserve” finanziarie nazionali e regionali. Ma non basta dirlo, non basta più nemmeno auspicarlo, c’è soprattutto bisogno di pagare di più e meglio i medici e gli operatori sanitari , difenderli, tutelarli, valorizzando, così, il “sistema sanitario” e ricreando un clima di fiducia e di rispetto verso tutti gli operatori, riconoscendone le capacità e le qualità, non solo in momenti di emergenza.

    I sanitari, come le nostre Forze dell’Ordine, sono sempre in servizio, lavorano sempre per la nostra salute, ed è giusto siano, dopo anni di apprendimento e tirocinio, ben retribuiti e soprattutto rispettati e apprezzati, dando la certezza che il loro impegno è riconosciuto e stimato.

    Luciano Falcier ex assessore regionale

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