lunedì, Novembre 25, 2024
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    Da Cracovia a Kiev e ritorno. Un breve viaggio nel cuore dell’Europa (26.10.22- 3.11.22)

    Da Cracovia a Kiev e ritorno. Un breve viaggio nel cuore dell’Europa (26.10.22- 3.11.22)
    Maurizio Cotta
    Sono di nuovo a Cracovia per il Centro Nazionale della Ricerca polacco nella commissione di valutazione dei progetti di ricerca per il settore Diritto e Scienze Sociali. L’organizzazione polacca è molto professionale ed efficiente. Più della metà dei componenti e il presidente della commissione sono stranieri. E’ il secondo incontro dopo quello di agosto che aveva elaborato una short list e dopo un’ulteriore valutazione di esperti esterni suggeriti da noi. In questa riunione vengono decisi i vincitori. Vorrei che un processo insieme così rigoroso e spedito avvenisse anche in Italia.
    Cracovia come sempre è bellissima in un mite autunno dorato. Sono di nuovo colpito dal balzo in avanti della Polonia dopo l’entrata nella UE. Tassi di crescita elevati, ma anche qualità. Ho l’impressione che molti in Italia conoscano poco questa realtà e la guardino un po’ dall’alto in nasso. Non sottoscrivo naturalmente certe derive poco liberali e nazionaliste dell’attuale governo, ma credo che come “europei occidentali” dobbiamo capire meglio il desiderio di affermare la propria identità dei paesi centro-orientali che hanno riguadagnato la propria indipendenza nazionale dopo anni di oppressione sovietica. La burocrazia europea un po’ tignosa e invadente dovrebbe saper essere qualche volta più leggera e flessibile.
    Mentre sono qui decido di fare una puntata in Ucraina per dare un’occhiata e stabilire contatti con colleghi universitari. Prendo un bus per Lviv e esperimento di nuovo una vera frontiera con tanto di controllo dei passaporti e soprattutto una chilometrica fila di camion. Il pendolarismo di persone e merci tra Polonia e Ucraina è intensissimo.
    Lviv (Leopoli), capitale della Galizia mi introduce a uno spazio europeo dove nei secoli i potentati di turno hanno con la gomma e la penna cancellato e riscritto innumerevoli volte i confini. L’antico principato di Galizia è passato sotto la Polonia-Lituania, poi l’Austria- Ungheria, una breve indipendenza ucraina nel periodo postbellico, poi l’Unione Sovietica e ora l’Ucraina. Di corsa sono passati e hanno razziato gli eserciti svedesi di Carlo XII, i Turchi, i cosacchi ribelli…e naturalmente i tedeschi nazisti.
    Lviv mi introduce anche alla complessa e non sempre pacifica cerniera religiosa tra cattolicesimo romano e ortodossia moscovita. Nel 1597 una parte consistente della chiesa ortodossa ucraina si è separata da Mosca e ha aderito alla Chiesa di Roma mantenendo però i riti orientali (chiesa greco-cattolica). Ne son derivati non pochi conflitti, continuati in epoca sovietica e post sovietica, in ordine alla proprietà delle chiese. Importante anche la presenza ebraica, decimata nel periodo di occupazione nazista (anche con notevoli complicità ucraine).
    La città oggi è gradevole e abbastanza serena. L’università sfoggia una facciata tinta a nuovo (il 110% dell’Unione europea credo!). Belle architetture barocche e molta art nouveau. Un po’ di sacchetti di sabbia qua e là a protezione dei monumenti. Ma la guerra sembra lontana. Sodati in licenza dal fronte si incontrano e abbracciano nella piazza del mercato. Però sulla piazza centrale campeggiano le foto di due giovani soldati morti pochi giorni fa. Mi torna in mente mio padre che nel 1943 a 23 anni prese le armi per combattere contro l’occupazione tedesca ( e per mia fortuna non morì).
    Sono a cena dalla famiglia della signora ucraina che negli ultimi anni ha assistito con cura e amorevolezza mia madre accompagnandola in casa nostra al giorno del suo trapasso. Mentre mi portano a casa loro suona la sirena anti aerea ma ormai ci hanno fatto l’abitudine. Cena slava con abbondanti alcolici.
    La mattina alle 6 e 30 prendo un nuovo bus questa volta per Kiev. Accanto al mio un altro bus esibisce l’indicazione Kherson… arriverà veramente fin là o aspetta l’ultima contro- offensiva ucraina? Nel dubbio lascio perdere!
    Il mio doubledecker, pieno come un uovo di varia umanità slava (pochi della ZTL! chiedo se voterebbero PD, mi guardano stupiti…), si lancia a gran velocità nella pianura sarmatica. Fino agli Urali un infinito orizzonte pianeggiante. Grano, granturco, patate, prati e qualche bosco. Gli unici ostacoli naturali i grandi fiumi. A sud ci sono le fertili terre nere che producono grano per tutto il mondo e dove il regime sovietico negli anni trenta riuscì a produrre una delle più gravi carestie (derivò da lì e dai molti casi di cannibalismo la storia dei “comunisti che mangiano i bambini”). I paesini che attraversiamo sono quasi completamente al buio: risparmio energetico grazie ai missili russi.
    Lungo la strada molti posti di blocco, cavalli di frisia, sacchetti di sabbia, vecchi copertoni e baracche per le guardie. Mucchi di legna per fare, immagino, qualche fuocherello. Anche su qualche strada che porta a un povero villaggio mini-posti di blocco. Comunque passiamo senza perdere tempo. Ogni tre ore ci fermiamo a una stazione di bus per permetterci un pit stop, un caffé e sgranchire le gambe. Queste stazioni sono la versione moderna e arrugginita degli antichi caravanserragli delle steppe euro-asiatiche. Baraccucce vendi-caffe, mercatini di verdure e varia pacottiglia sui marciapiedi. Non proprio autogrill all’italiana. Caffè passabile dopo una astinenza di tre ore. In una di queste stazioni, accanto al mio, un bus supernuovo esibisce sul suo schermo scritte tipo “Vittoria all’Ucraina, Putin vaff…, noi siamo i banderisti, ecc.” .
    Mentre scrivo sul bus penso a che cosa mi aspetta a Kiev. In particolare dopo l’attacco ucraino alla flotta russa a Sebastopoli in Crimea. Penso ci saranno risposte brutali, come sembra preferire il nuovo comandante russo della cosiddetta “operazione speciale” che ha fatto le sue prove in Siria… Ma conto sulla capacità crescente degli ucraini di abbattere i droni nemici. Man mano che ci si avvicina a Kiev i posti di blocco si fanno più consistenti. Vedo qualche fabbrica distrutta
    La sera a Kiev sembra tutto tranquillo. Faccio due passi in centro, ma rientro presto dopo cena nel mio appartamento (booking.com funziona bene anche qui) perché con il coprifuoco tutto chiude alle 9 e le luci diventano rade. Alle 10 sono già in pigiama quando suona la sirena dell’allarme aereo. Il mio appartamento è al quarto piano, ma non so se ci sia una cantina dove scendere. Scommetto sul fatto che i russi non vogliano sprecare un missile sulla mia casa. Così è e posso dormire. La mattina di lunedì vado a far colazione in un simpatico caffè all’angolo. Qui ci mandano subito nel sottosuolo perché c’è il nuovo allarme. Mi arriva anche un messaggio sul telefonino: è in ucraino ma la parola raketen si capisce facilmente. La colazione continua tranquillamente e gli avventori mi rassicurano (mi ricordano anche che i lunedì ci sono sempre missili russi, per iniziare bene la settimana…). Quando torno nel mio alloggio per lavarmi i denti manca l’acqua. Dovrò farmi una provvista di H2O. I missili russi hanno in effetti colpito di nuovo le infrastrutture di Kiev. La giornata è fredda ma bellissima e invita a fare una passeggiata nella città.
    Kiev si stende su una serie di colline che scendono ripide verso il grande fiume Dnieper (o Dnipro). Ritrovo le descrizioni di Bulgakov (La guardia bianca). Vicino al mio appartamento c’è la maestosa cattedrale di Santa Sofia. Gli affreschi e i mosaici interni riportano rapidamente all’anno mille quando Kiev, sulla strada commerciale che univa il Baltico al Mar Nero e a Costantinopoli, era il centro della nuova cristianizzazione slava. Ma uscito dalla pace del compound della cattedrale sono riportato immediatamente alla realtà. Una serie di cartelloni mostrano le foto di tutti i morti di Mariupol. Poi sulla piazza della Cattedrale di S. Michele un monumento fatto di tre grandi cumuli di sacchetti di sabbia chiede aiuto per l’Ucraina; a fianco sono esibite le carcasse arrugginite, contorte e sbruciacchiate di alcuni carri armati russi. Mentre le guardo non posso non pensare ai giovani carristi russi che erano lì dentro. La pietà non può che abbracciare i morti di tutte le parti. Qualcuno però dovrà rispondere in qualche tribunale terrestre o celeste, di tutte queste morti.
    Il mio giro continua verso l’università dove l’indomani incontrerò dei colleghi. Di nuovo una serata buia, ma quando rientro nel mio alloggio l’acqua è tornata. Il boccione da 5 litri comprato al supermercato servirà ai prossimi clienti.
    Martedì 1 Novembre. Mi ritrovo a pranzo con il direttore dell’International Centre for Policy Studies dell’Università Taras Schevchenko di Kiev, l’università storica dell’Ucraina intitolata al grande poeta nazionale ucraino (riporto alcuni versi del suo testamento)
    When I am dead, bury me
    In my beloved Ukraine,
    My tomb upon a grave mound high Amid the spreading plain,
    So that the fields, the boundless steppes, The Dnieper’s plunging shore
    My eyes could see, my ears could hear The mighty river roar.
    When from Ukraine the Dnieper bears Into the deep blue sea……
    Il collega Igor è giovane e attivo e mi racconta le vicende dell’università che ha ripreso a funzionare due giorni in presenza e tre giorni a distanza. Mi colpisce la determinazione con cui mi dice che gli ucraini contano di recuperare tutto il territorio perduto. Sono un po’ meno ottimista. Incontro anche un giovane giornalista del nuovo giornale online Realist. Restiamo d’accordo di cercare di sviluppare rapporti di cooperazione tra Kiev e l’università di Siena. E scriverò qualcosa sul giornale.
    La sera vado alla stazione dei bus a prendere quello per Cracovia. La stazione della metropolitana da cui esco è circondata da un buio pesto. Due sconosciuti dall’aspetto un po’ dubbio (ma forse sono due samaritani?) si prendono cura di me e mi pilotano fino alla stazione dei bus. Il buio regna sovrano e in un ampio spiazzo partono bus in tutte le direzioni verso Est e Sud e per fortuna anche verso Ovest. Non vorrei finire nella direzione sbagliata. Finalmente appare il mio (va da Zaporizia a Praga!). Siamo tre uomini e una quarantina di donne (badanti che vengono ad aiutare i nostri vecchi, giovani ragazze in cerca di lavoro, chissà; nessuna parla inglese). Una lunga notte di viaggio. Nessuno ha le mascherine, speriamo di non prendere il Covid! Alle dieci di mattina sono a Cracovia, sto rientrando nella rassicurante Unione europea…. Alla sera tardi sarò a Firenze.
    Una esperienza breve ma interessante. Penso che quando finirà la guerra avremo una Europa (in senso largo) diversa. L’Ucraina sarà semidistrutta nelle sue case infrastrutture, ma decisamente più forte e salda di prima. Il futuro della Russia è più incerto: anche lei dovrà leccarsi molte ferite e non sarà più forte di prima. L’Unione Europea sarà all’altezza delle nuove sfide? Saprà dare un contributo forte ad un nuovo assetto di pace europeo? E l’Italia in questo contesto darà un contributo utile o si incarterà sulla legge sui rave parties? Non ho le risposte, ma molte laiche e non laiche preghiere.

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