La guerra in Ucraina. Quali novità?
La ritirata delle truppe di occupazione russe da una parte importante della regione di Cherson e dal suo capoluogo segna (dopo la mancata conquista di Odessa) un’altra significativa sconfitta del piano, più volte delineato da Putin, di riprendere la cosiddetta Novorossia (cioè l’ampia parte dell’Ucraina meridionale che fu conquistata dall’impero russo nel diciottesimo secolo), piano che avrebbe completamente tagliato l’Ucraina da ogni accesso al mare. Più in generale l’obiettivo di ridurre ad una situazione di semi-vassallaggio del paese vicino (“denazificato”, neutralizzato e interpretato come parte della nazione russa) si è scontrato contro la resistenza di una rinvigorita identità nazionale ucraina (che ormai abbraccia anche buona parte della popolazione russofona) sostenuta dagli
Stati Uniti e dai paesi dell’Unione Europea.
Risulta ancora più paradossale la decisione del 30 Settembre (poi ratificata il 3 Novembre dal parlamento di Mosca) di annettere quattro regioni ucraine (la Crimea era già considerata annessa) alla federazione Russa. L’annessione, priva di ogni legalità internazionale, serviva probabilmente per rafforzare il fronte interno dopo le sconfitte nell’area di Charchiv, ma ora rivela anche verso il fronte interno tutta la problematicità di questa annessione visto che il controllo russo su queste regioni si rivela sempre più problematico. Proprio sul fronte interno gli sviluppi negativi della “Operazione speciale” non possono più passare inosservati. Per ora la strategia di Putin (che ricordiamo dovrà affrontare nell’ormai sempre più vicino 2024 le nuove elezioni presidenziali) sembra diventata quella di un distanziamento personale dalla guerra. Ne sono un esempio l’affidamento della impopolare “mobilitazione parziale” ai governatori, la creazione il 19 Ottobre di un nuovo organismo (il Consiglio speciale di coordinamento per la sicurezza) con ampi poteri per gestire lo sforzo bellico affidato al primo ministro Mishustin e con la presenza anche del potente sindaco di Mosca e infine la singolare pubblica sceneggiatura per annunciare il ritiro da Cherson (con il comandante delle operazioni militari generale Surovikin che, interrogato dal ministro della difesa, risponde che tutto va bene su tutti i fronti, ma che su quello di Cherson è necessario per risparmiare le vite dei soldati russi ritirarsi). Non è chiaro quanto questa strategia possa isolare nel futuro prossimo il leader dalle critiche per una impresa i cui costi per la società russa (per non parlare dell’Ucraina) sono sempre più evidenti mentre i vantaggi sono elusivi. L’inverno alle porte
fornirà prove significative in proposito.
Le elezioni di midterm negli Stati Uniti. Il risultato delle elezioni per la Camera dei Rappresentanti, un terzo del Senato, numerosi governatori e innumerevoli altre cariche delude l’attesa dei Repubblicani di una vittoria (abbastanza scontata per il partito di opposizione nelle elezioni di metà mandato). Il risultato rafforza invece il presidente in carica che può contare per i secondi due anni del suo mandato su un Congresso non ostile; ma soprattutto indebolisce le speranze di Trump di presentarsi trionfalmente come candidato alle prossime presidenziali. L’ala anti-trumpiana del partito repubblicano trova ora spazio per cercare una candidatura diversa e meno estrema. Forse si arresta (o quantomeno non cresce) la grande polarizzazione che aveva caratterizzato la politica americana di questi ultimi anni. E soprattutto si rafforza l’ala del partito repubblicano che non accoglie la denuncia trumpiana della invalidità delle elezioni – una vera e propria mina per il funzionamento della più antica
democrazia del mondo.
Iran. Continuano in molte città le proteste di studenti universitari. Per il 15 -17 Novembre sono proclamate manifestazioni per ricordare l’anniversario delle dimostrazioni dell’Aban 2019 (il Novembre di sangue) quando più di 100 dimostranti furono uccisi. Le autorità
contrastano la mobilitazione dei dimostranti prospettando il timore di una “sirianizzazione”
del paese ad opera delle potenze occidentali e di Israele.
Le guerre nel mondo. Sulla base dei dati raccolti dal progetto ACLED (Armed Conflict Location and Event Data Project https://acleddata.com/) le guerre in corso nel 2022 sono almeno 28. Le guerre tra stati sono oggi relativamente rare (Armenia-Azerbaijan; Etiopia-Sudan; Iran- Arabia Saudita; Israele-Palestina/Gaza; Russia-Ucraina) anche se come mostra il caso ucraino le conseguenze possono essere molto significative anche ben al di là dei confini dei diretti partecipanti. Molto più frequenti sono le guerre intrastato (12 in senso stretto e 11 con interventi esterni). Di tutte le guerre oggi attive 14 sono in Africa, 12 in Asia, 2 nelle Americhe e 1 in Europa). Il fatto che gran parte delle guerre siano classificabili come guerre interne (o tali in misura predominante) segnala che all’origine di questi eventi sta essenzialmente un deficit di autorità e legittimità dei relativi stati (quando addirittura non si tratti di uno “stato fallito”) e la loro incapacità di gestire pacificamente conflitti etnici. In molti casi interventi esterni contribuiscono poi a una ulteriore escalation del conflitto (l’esempio dello Yemen è
emblematico, ma certo non unico).
Maurizio Cotta