Mauro Piazza, classe ’73, è consigliere regionale nelle file di Forza Italia e ricopre dal 9 maggio 2018 la carica di Presidente della Commissione Speciale “Autonomia e riordino delle autonomie locali”. Con lui abbiamo affrontato il tema dell’autonomia regionale nell’ambito dell’emergenza sanitaria che ha visto la Lombardia come il territorio più colpito.
Di cosa si occupa esattamente la Commissione che presiede?
La Commissione è stata istituita all’interno del Consiglio regionale per seguire e preparare gli sviluppi dell’autonomia differenziata che la Giunta stava portando avanti nella trattativa col Governo centrale a seguito del referendum, e poi di tutte le determinazioni che il Consiglio regionale ha preso per l’attivazione degli art. 116 e 118 del titolo V della Costituzione. Abbiamo svolto un lavoro di carattere preparatorio, che comprende anche incontri con alcuni Consigli di Regioni che già godono di un maggior livello di autonomia. Un esempio è il Friuli Venezia Giulia, dove siamo stati in visita e svolto una serie di audizioni con pareri di costituzionalisti su diversi temi, dagli aspetti più di carattere tecnico fino alla disamina di quelle che sono state le materie e funzioni che la Giunta regionale della Lombardia ha chiesto nella trattativa che purtroppo si è arenata, sia durante il governo Conte I che, in maniera particolare, durante il governo Conte II.
Nella situazione d’emergenza sanitaria la Lombardia ha messo in luce la sua specificità, ma quando ha cercato di farla valere si è trovata davanti ad un Governo che da un lato ha preteso di estendere al resto del Paese le misure che voleva adottare la Lombardia e dall’altro ne ha negate alcune, come la zona rossa di Bergamo o gli aiuti alle imprese. Guardando al dopo emergenza, quanto ha bisogno la Lombardia dell’autonomia?
Gli eventi di questi mesi segnalano che ne ha un grandissimo bisogno. Temo che invece l’autonomia possa uscire come un’ulteriore vittima di questa pandemia.
In che senso?
Da parte dello Stato centrale i segnali che arrivano sono a dir poco sconcertanti. E come sempre accade in questo Paese, la lettura della realtà avviene esattamente al contrario, cioè non si parte da un dato di fatto. La pandemia ha colpito in maniera devastante una regione che fortunatamente, facendosi forza di quell’autonomia che ha avuto negli anni – a partire dalle riforme di Formigoni in poi – è riuscita a costruirsi un sistema sanitario straordinariamente forte e reattivo. Questo dovrebbe essere il punto di partenza per affermare che l’autonomia, dove è stata esercitata, ha funzionato bene perché è evidente che se questa cosa fosse successa in un contesto e in un sistema sanitario regionale di quelli che sono perennemente in dissesto o commissariati da anni, probabilmente avremmo raccontato una storia molto più amara di quella che stiamo raccontando adesso. Invece non è così.
Il Ministro degli Affari Regionali Boccia ha dichiarato che le Regioni sarebbero crollate se non ci fosse stato il supporto dello Stato centrale.
Non so se fa ridere o fa piangere, peraltro bisogna ancora capire quale sia il supporto dello Stato centrale, perché basta vedere le richieste che sono state fatte dalla Regione sui materiali medici e quello che invece è arrivato dal Governo per capire che è davvero difficile intuire da dove sia arrivato questo aiuto. Mi viene da sorridere perché probabilmente se oggi Regione Lombardia potesse disporre dei 54mld di euro di residuo fiscale credo che sarebbe stata in grado di avere una struttura sanitaria ancora più forte – perché noi facciamo sempre un braccio di ferro con lo Stato centrale per i tagli che vengono fatti sul sistema sanitario che in qualche modo cerchiamo di sopperire e rappezzare – e poi risorse sufficienti per dare una risposta ancora più adeguata a questo scenario totalmente inedito.
Alcuni osservatori internazionali hanno rilevato la mancanza di un coordinamento tra le azioni del Governo e della Regione, è così?
Pensiamo alla richiesta delle zone rosse, della chiusura delle attività che non arrivava, una serie di cose che hanno mostrato chiaramente come le Regioni fossero dei terminali di lettura delle necessità molto più vicine e molto più attente al territorio, dall’altra parte invece un Governo che aveva risposte confuse e in ritardo. Tutti hanno letto questa cosa come un disordine istituzionale, che effettivamente c’è perché se non si svolge appieno il titolo V della Costituzione, ne deriva una sorta di situazione ibrida in cui è sempre difficile capire chi comanda. Mentre sarebbe molto importante che uno svolgimento, nel senso previsto dalla Costituzione, dell’autonomia differenziata metta in capo la parte decisionale a chi ha una conoscenza puntuale e precisa della sua specificità, altrimenti rimaniamo nelle mani di un Governo che è sempre più forte da un punto di vista di un certo centralismo burocratico, ma sempre più debole nella capacità di interpretare i bisogni del territorio.
Secondo lei questa emergenza potrà dare una spinta nella direzione di una maggiore autonomia?
È una battaglia culturale, oltre che politica, che dovremo fare. Non vorrei che la lettura più facile sia quella di dire che l’autonomia è un rischio. Invece è un’opportunità perché ha dimostrato di dare le risposte migliori al territorio, quindi è un motivo in più per andarla a chiedere con una maggior forza e determinazione. Credo che i lombardi abbiano tutti gli elementi sotto gli occhi per vedere che dove siamo liberi di fare facciamo e facciamo bene. Se partiamo da questo, cioè da un’osservazione dei fatti, credo che dovremmo avere tutti dalla nostra parte nel poter chiedere ulteriormente quanto è previsto nella Carta Costituzionale.
Alla luce dei fatti, il rapporto tra Governo e Regione come evolverà prossimamente, a emergenza finita?
Spero si sia trattato di un eccesso di nervosismo che ha molto guastato i rapporti sul tema dell’autonomia. Le dichiarazioni del ministro sono sotto gli occhi di tutti, evito di citare l’episodio delle mascherine con cui sono stati presi in giro 10 mln di lombardi e mi auguro che, una volta finita l’emergenza, sulla base della lettura dei dati di quello che è successo e di come siamo stati in grado di rispondere, possa tornare una stagione di buonsenso che rimetta sul giusto binario il tema dell’autonomia.
Cosa possiamo dire di aver imparato da questa situazione d’emergenza?
Le autonomie quando sono state esercitate bene con sistemi di efficienza, di efficacia e di economicità, hanno costruito risposte adeguate anche, per quanto possibile, a emergenze imprevedibili come queste. Il sistema complessivo, a partire dai nostri operatori sanitari, è stato un argine straordinario nei confronti di questa pandemia in una zona così popolosa e così ricca che è stata la più colpita d’Europa. Io credo che la lettura da dare sia esattamente al rovescio di quella che appare sui grandi giornali nazionali, cioè dove c’è stata autonomia c’è stato un buon margine di risposta e ci sono ancora energie che devono essere liberate proprio in un quadro di autonomia. Le riconversioni industriali, la capacità di riconvertire e costruire gli ospedali, l’ampliamento delle terapie intensive sono tutti segnali che più ci si lascia fare nell’ambito di un quadro di solidarietà nazionale, meglio facciamo.
Micol Mulè