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    DELL’ORSO O DELLA RAGIONE

    DELL’ORSO O DELLA RAGIONE

    Il 5 aprile il 26enne Andrea Papi è stato aggredito e ucciso nei boschi sopra Caldes, in Trentino, da un’orsa di 17 anni chiamata Jj4, per gli amici Gaia. Il presidente della regione, Maurizio Fugatti, ordinò la cattura e l’abbattimento dell’animale ritenuto aggressivo e pericoloso avendo precedente attaccato due umani. Il 14 aprile il Tar di Trento ha sospeso l’ordinanza di abbattimento dell’orsa Gaia dopo il ricorso della LAV (Lega Anti Vivisezione). La sospensiva resterà in vigore fino all’11 maggio 2023, data dell’udienza.
    Il progetto di ripopolamento degli orsi in Trentino – proposto da chi evidentemente non ha nulla da fare di importante nella vita –
    si chiama “Life Ursus” ed è partito nel 1989 quando dalla Slovenia sono stati trasferiti quattro esemplari di orso. Oggi, dopo 33 anni, ce ne sono circa 120.

    Questa la cruda cronaca. Il fatto interessante è che la notizia ha spaccato l’opinione pubblica in due: da una parte i pochi che sostengono necessaria l’uccisione dell’orso per la sicurezza degli umani e, dall’altra parte, la maggioranza indignata riunitasi intorno all’hashtag #iostoconlorso che ha spopolato sui social e che ha messo insieme sensibilità di destra, di sinistra, di sopra e di sotto. La posizione di questo secondo gruppo, naturalmente dispiaciuto per l’uccisione dell’umano, difende l’orso in quanto disturbato dalla presenza e dall’imprudenza umana che in fondo se l’è andata a cercare, rivendicandone l’innocenza e la conseguente sospensione della pena capitale. Inoltre, mettendo indebitamente sullo stesso piano uomo e animale, si avanza il concetto che il primo sia molto più pericoloso del secondo.

    Se non ci fosse di mezzo una vita umana spezzata, potrebbe sembrare un dibattito folcloristico. In realtà proprio su questa vicenda si comprende come l’umanità si sia bevuta totalmente il cervello da anni e anni di relativismo ideologico. Tremila anni di filosofia buttati nel bidone della spazzatura indifferenziata. Categorie dell’uso della ragione e della logica violentate nei vicoli oscuri della rinuncia al pensiero critico. Antropologia e ontologia sono parole sconosciute scambiate per malattie infiammatorie. Bisognerebbe ripartire da Parmenide, ma mancano le categorie per comprendere anche solo l’essere e non il non essere. Addio umanità, sei spacciata, divorata dall’orso dell’ignoranza, motivo per il quale ci sembra che il mondo stia andando al contrario e senza possibilità di redenzione.

    Pars costruens. L’uomo, a differenza dell’animale, possiede l’anima, lo spirito, la coscienza, il logos (pensiero e parola). Ontologicamente l’uomo è qualitativamente superiore all’animale, rappresenta un salto di specie irriducibile al mondo animale. Secondo Aristotele l’uomo è un animale, razionale e libero. Animale: fatto di istinti biologici primari. Razionale: Adaequatio rei et intellectus, che significa “corrispondenza tra realtà ed intelletto”, quella capacità di costruire le piramidi, scoprire la teoria della relatività e andare sulla luna. Libero, e qui veniamo al punto.

    L’uomo può decidere di fare cose buone come di fare cose terribili perché è l’unico essere vivente libero di scegliere tra il bene e il male, fino addirittura, per le anime più elevate, a far coincidere la propria volontà con quella divina. Per questo ci sono uomini che riteniamo santi e uomini che riteniamo malvagi. Cristianamente parlando si chiama “peccato originale”. L’animale non ha possibilità di scelta e dunque non può essere innocente, affermare che l’orso sia innocente equivale a dire che un sasso sia senziente. Non ha alcun senso.
    L’uomo, infine, essendo ontologicamente superiore al genere animale, lo domina e lo governa e se necessario, per la propria incolumità, lo elimina anche. Questo non vuol dire che non occorra rispettare la natura che è fatta per l’uomo, ma non vuol dire neanche che la natura sia considerata superiore all’uomo.
    Paradossalmente l’intero genere animale non vale la vita dell’uomo più malvagio. #iostoconluomo

    Giovanni Zola

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