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    Inflazione, Fed: a maggio si attende l’ultimo rialzo dei tassi

    Inflazione, Fed: a maggio si attende l’ultimo rialzo dei tassi
    Per Fed ancora rialzi in vista, ma entro giugno il trend dovrebbe invertire la rotta.
    La fine dei rialzi dei tassi potrebbe essere vicina, ma decidere quando fermarsi sarà un compito delicato per la Fed. Al momento i tassi si attestano tra il 4,75 e il 5%, ma potranno presto raggiungere quota 5,25%, fino a toccare la soglia percentuale di 5,75 entro giugno. Sarà in quel momento, probabilmente, che potremo assistere alla prima inflessione dell’andamento, qualora la corsa dell’inflazione dovesse rispecchiare le aspettative. Questo perché stando alle indicazioni, l’andamento dovrebbe essere alterato da premi alla liquidità e al rischio, ed una conseguente stabilizzazione nel lungo periodo, seppur con un’indicazione superiore all’obiettivo del 2% medio.
    Secondo l’Università del Michigan la marcia discendente si sarebbe interrotta già ad aprile, risalendo poi dal 3,6 al 4,6%, con tassi dunque appena positivi.
    L’inflazione effettiva – che può incidere sulle attese dei consumatori – inizia a flettere sia nell’indice complessivo (l’indice Pce, preferito dalla Fed) che nell’indice core, anche se rimane a livelli ancora alti: rispettivamente del 5% e del 4,6%.
    L’obiettivo principale resta quello di evitare la recessione, che sia essa anche breve, determinata da una politica monetaria austera come avvenuto nel 1990, porta ad una perdita del potere d’acquisto della moneta rischiosa e preoccupante per i consumatori, e di conseguenza per il mercato in senso lato. Il rischio, come avvertono dal Michigan, resta elevato. E resta elevato soprattutto in considerazione delle pressioni, dei disallineamenti tra domanda e offerta, dei cambiamenti strutturali del mercato del lavoro, delle nuove preferenze dei lavoratori, tutti indicatori peculiari secondo Fed, che hanno determinato in primis ad un’oscillazione dei salari orari ben superiore a quella dell’inflazione. Nell’ultimo periodo, infatti, il tasso è stato del 4,4%, con una produttività oraria che, a dicembre, era dell’1,7%, ed un’inflazione salariale che quindi viaggia attorno al 3%. Ma il vero punto che preoccupa riguarda lo stato delle condizioni finanziarie, ancora troppo accomodanti, in base all’indice di Chicago, che riassume un centinaio di indicatori lungo tutta la cinghia di trasmissione della politica monetaria.
    Si tratta di un segnale che va seguito attentamente, sempre tenendo conto dei ritardi con cui agisce la politica monetaria.
    Andrea Valsecchi

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