In attesa di una politica estera europea. Sicuramente difficile ma sempre più indispensabile
La visita di Macron in Cina e le sue dichiarazioni sui rapporti dell’Europa con la Cina e gli Stati Uniti sono state utili se non altro per capire come non deve essere nella sostanza e nei modi la politica estera europea. È apparso a tutti chiaro che il presidente francese conduceva una iniziativa propria e che questa non era condivisa nei suoi contenuti da una buona parte dei paesi dell’Unione. Ma ripartiamo dal punto essenziale: è necessaria una politica estera europea e che caratteristiche dovrebbe avere?
Sulla necessità credo che non ci sia molto da discutere, basta allineare alcuni fatti sull’ambiente internazionale all’interno del quale si colloca l’Unione Europea, che non dimentichiamolo è una delle tre principali economie del mondo e in quanto tale ha bisogno di non essere solo un soggetto passivo sulla scena internazionale. Passiamo velocemente in rassegna questi fatti. In primo luogo, con l’aggressione russa all’Ucraina, è diventato del tutto chiaro quello che almeno già dal 2014 (annessione della Crimea e azioni russe nel Donbass) avrebbe dovuto essere compreso, cioè che l’Unione Europea e il suo grande mercato unificato, che ne è una caratteristica fondamentale, si trovano a convivere con una potenza continentale come la Russia con caratteri sempre più autoritari e per la quale la dimensione dell’affermazione di un ritrovato status internazionale sembra passare attraverso il controllo territoriale dei territori circonvicini. L’Unione Europea ha dovuto quindi constatare che nel sistema internazionale e proprio ai suoi confini orientali la dimensione strategico-militare non è stata affatto addomesticata o addirittura soppiantata da quella economica degli scambi commerciali. Questa scoperta è stata particolarmente dolorosa e destabilizzante per uno dei paesi principali dell’UE, la Germania, che della sua potenza economica aveva fatto la base per uno stretto legame commerciale per la Russia (con elementi importanti di dipendenza da alcune risorse di base di quest’ultima). In stretta connessione con questo cambiamento di paradigma l’Unione Europea ha scoperto che una reazione seria all’aggressione russa non poteva prescindere dal ruolo di leadership e dalle risorse degli Stati Uniti.
In secondo luogo gli sviluppi politici ed economici della Cina di Xi Jinping indicano che sulla scena internazionale è sempre più presente un attore di prima grandezza (e con connotati sempre più autoritari) che intende sviluppare e promuovere un assetto mondiale diverso da quello che dopo la seconda guerra mondiale è stato disegnato e guidato dagli Stati Uniti. È quindi in corso una competizione sempre più ruvida con la superpotenza americana. Terzo punto, per gli Stati Uniti, sinora potenza mondiale dominante, il rapporto con la Cina, proprio alla luce di questa competizione assume un rilievo vitale. E in questa direzione vanno e sempre più andranno gli interessi fondamentali del paese nordamericano. Quindi, se oggi l’avventata iniziativa di Putin ha portato gli Stati Uniti a rivolgere il suo sguardo verso l’Europa, è probabile che in futuro le cose cambino. L’area del Pacifico verso la quale guardano le due maggiori superpotenze, e che è attraversata dalla questione di Taiwan, è troppo importante per essere trascurata dal governo americano. Infine, se ce ne fossimo dimenticati, l’esplosione della guerra civile nel Sudan ci ricorda che in Africa i focolai di crisi non sono pochi, così come le interferenze esterne tutt’altro che pacificatrici, e che tutto questo ha importanti riflessi sui movimenti migratori.
Dovrebbe essere dunque abbastanza chiaro che su tutti questi fronti gli interessi politici, economici, ma direi ancora di più esistenziali dei paesi europei, sono sia individualmente che collettivamente in gioco. Su ciascuno dei fronti citati c’è potenzialmente molto da perdere. Dovrebbe essere altrettanto chiaro che nessun paese europeo è in grado da solo di pesare in maniera significativa sugli andamenti e sbocchi di questi processi. Certo, se le cose non si mettono troppo male, ciascun paese può strappare qualche concessione commerciale, favorire le proprie industrie, darsi un tono di importanza. Ma quando “il gioco si fa duro”, e la crisi ucraina ha mostrato che questo può succedere, le azioni anche dei più importanti tra gli stati europei rivelano rapidamente la loro irrilevanza. Ben ricordiamo, ancora una volta, la visita di Macron in Russia, tenuto a distanza sul “lungo tavolo” del Cremlino, due settimane prima dell’invasione russa. E che cosa potrebbero fare in futuro i singoli paesi di fronte a iniziative meno caute della Cina verso Taiwan?
Se una politica estera europea è dunque necessaria, svilupparla e metterla in atto è certamente più difficile. Non possiamo dimenticare che la politica estera e quella di difesa sono state elementi cruciali per la definizione stessa dell’identità nazionale degli stati europei. E che alcuni di questi, sono stati potenze mondiali. Oggi non più ma la memoria non sparisce del tutto. È chiaro quindi che una politica estera europea deve svilupparsi con cautela e non può pretendere di soppiantare d’emblée le politiche estere nazionali. Ma la cautela non deve escludere la determinazione nel muovere passi in avanti, come ha sempre fatto l’Unione Europea, dove è possibile, dove più chiaramente si manifestano le insufficienze delle politiche nazionali. In questi settori si devono con pazienza far emergere gli interessi comuni, elaborare una linea strategica e soprattutto parlare con una voce sola. Ben vengano allora anche i discorsi e i viaggi internazionali di Macron, o Scholz, … o magari di un politico finlandese, ma per parlare a nome di tutti. L’Europa unita può parlare da pari a pari con Xi e fargli capire che aspiriamo a una coesistenza pacifica con la Cina, regolata dal diritto internazionale e dai principi dell’ONU, ma non siamo invece dei vassalli che vanno nella capitale del Celeste Impero a prestare omaggio al nuovo imperatore. Anche con gli Stati Uniti una solida partnership, basata sui comuni valori democratici e liberali, può prosperare se l’Europa unita è capace di far valere le proprie ragioni con amicizia ma anche con franchezza. La strada della politica estera europea non è breve né facile, ma non ha alternative serie.
Maurizio Cotta
mauriziocotta47@gmail.com