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    L’Italia e il PNRR: un test per il paese

    L’Italia e il PNRR: un test per il paese
    La bolla del PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza, è esplosa, ma non tutti sembrano
    pronti a valutarne pienamente implicazioni e conseguenze. L’attenzione politica si appunta ora
    sulle responsabilità del governo Meloni per i ritardi nella realizzazione, oppure sulla questione dei
    controlli concomitanti o successivi della Corte dei Conti sulle spese del PNRR. Questo è
    politicamente legittimo e rientra nella valutazione che progressivamente si viene facendo delle
    capacità e dei limiti dell’attuale governo. Tuttavia queste schermaglie politiche non dovrebbero
    mettere in ombra la questione molto più ampia della primaria rilevanza per l’Italia, ma anche per
    l’Unione Europea di tutto questo processo. E’ il caso quindi di fare il punto separando le questioni
    importanti da quelle marginali.
    Cominciamo dall’inizio, cioè dal significato generale del programma europeo entro il quale si
    collocano il PNRR italiano, come quelli degli altri paesi beneficiari. Il programma europeo Next
    Generation EU dal quale dipendono i PNRR dei vari paesi è stato la risposta innovativa e
    coraggiosa dell’Unione Europea alla grande crisi pandemica del COVID. Elaborato nel luglio 2020 e
    ratificato a dicembre dello stesso anno questo piano da 750 miliardi di euro ha un significato di
    grande portata europea per più motivi. Ha mostrato una inedita capacità dell’Unione Europea di
    reagire con grande prontezza ad una grave crisi alla quale gli stati membri da soli non sarebbero
    stati in grado di rispondere. Lo ha fatto esprimendo concretamente e su scala economicamente
    massiccia il principio di solidarietà che deve tenere unita l’Unione. E, non ultimo punto, ha aperto
    la strada sino ad allora preclusa alla possibilità di un indebitamento dell’Unione per far fronte ai
    bisogni degli stati membri più in difficoltà. Queste risorse, in parte costituite da somme a fondo
    perduto e in parte da prestiti ai tassi molto bassi che l’Unione può ottenere sui mercati finanziari,
    sono stati distribuiti tra i paesi in ragione dei loro maggiori o minori bisogni e delle loro richieste.
    Per tutte queste caratteristiche innovative la riuscita complessiva di questo programma di ripresa
    e ammodernamento delle economie europee rappresenta una sfida di primaria importanza per
    l’Unione. Sebbene sia solo un programma temporaneo giustificato dalla crisi pandemica, un suo
    successo potrebbe aprire la strada a una futura maggiore e più regolare capacità dell’Unione di
    intervenire in maniera solidaristica per promuovere lo sviluppo e la coesione economica degli stati
    membri. Un suo fallimento rappresenterebbe invece una seria battuta d’arresto su questa strada.
    E’ dunque interesse comune che il Next Generation EU riesca globalmente e nelle sue componenti
    nazionali.
    Se il successo del NGEU è di grande rilevanza a livello europeo, lo è altrettanto a livello dei singoli
    stati e in particolare, per quel che ci riguarda, per l’Italia, che è stato il paese che ha ottenuto
    Sono professore emerito di scienza politica nell’università di Siena. Le
    mie ricerche si sono concentrate sullo studio delle élites politiche,
    delle istituzioni di governo e del sistema politico dell’Unione Europea.
    Sto scrivendo il libro “EU in turbulent times”.
    Che cosa è la Lettera mensile? Molto semplicemente lo sguardo, sperabilmente
    abbastanza oggettivo, di un osservatore su realtà politiche che gli pare debbano
    essere seguite con attenzione. Buona lettura!
    l’ammontare maggiore di fondi. Ricordiamo che se la perdita stimata del PIL italiano per effetto
    del COVID è stata per il 2020 di 156 miliardi di euro (il 9% del prodotto interno), l’importo ottenuto
    dall’Europa è stato di 191 miliardi (più 13 del fondo REACT-EU). Dunque una cifra di notevole
    entità da aggiungere alle normali risorse dello stato italiano. Queste nuove risorse
    potrebbero/dovrebbero essere fondamentali per un paese che, se oggi sta mostrando capacità di
    ripresa encomiabili dopo la recessione da COVID, viene da livelli medi di crescita molto bassi
    rispetto alle altre economie europee per tutti gli anni duemila.
    La discussione e il dibattito politico dovrebbero concentrarsi, sia per quel che riguarda il governo
    che per l’opposizione sui temi fondamentali che sottendono un buon uso di questa grande
    opportunità. I temi sono tre: la finalizzazione dei progetti a rimediare le carenze del sistema Italia,
    la capacità dei soggetti pubblici e privati, centrali e periferici implicati, di elaborazione di progetti
    di qualità europea, l’efficace e pronta attuazione dei progetti decisi. Ciascuno di questi tre temi
    interroga le forze di governo (prima di tutto), ma anche le forze di opposizione che sono state in
    passato al governo e che puntano a ritornarci. Se si volesse alzare un poco l’asticella della
    discussione politica potrebbero essere l’oggetto di un grande e serio dibattito nazionale sullo stato
    del paese.
    Alcune considerazioni in breve sui tre punti. La finalizzazione dei progetti (ovviamente entro le
    linee guida stabilite dall’Unione Europea) richiede una forte capacità di individuare le priorità del
    paese (sviluppo infrastrutturale, superamento dei divari nord-sud, rafforzamento delle strutture
    scolastiche, transizione ecologica…) senza disperdere le risorse in mille rivoli, ma anche di
    costruire un ampio consenso intorno ad esse. La elaborazione di progetti che passino la selezione
    europea, che siano coerenti con le finalità generali e che siano attuabili presuppone, come sa bene
    chi ne ha elaborati e vinti per esempio nel campo della ricerca, capacità tecnico-manageriali non
    indifferenti che in genere mancano nelle nostre amministrazioni pubbliche. Infine la attuazione dei
    progetti richiede un marcato orientamento degli apparati amministrativi al risultato invece che
    alle regolarità formali nonché la capacità di cooperare tra diversi apparati invece di trincerarsi
    nella difesa del proprio recinto.
    Le vicende del PNRR mostrano che su ciascuno di questi tre fronti sono emerse difficoltà e carenze
    serie. Una sorpresa? Niente affatto, per chi abbia prestato attenzione alle vicende passate di altri
    meno grandi fondi europei (come quelli regionali) rispetto ai quali si sono tradizionalmente
    manifestate estese difficoltà, ritardi e non adempimenti. Basta consultare anche l’ultimo rapporto
    della CGIA di Mestre (www.cgiamestre.com/wp-content/uploads/2023/03/Non-spendiamo-fondi-
    UE-10.03.2023.pdf) che segnala come dei 64,8 miliardi europei dei fondi di coesione (cui si
    aggiungono 17 miliardi di cofinanziamento nazionale) per il periodo 2017-2020 siano stati spesi al
    31 dicembre 2022 solo il 54%!
    Salta agli occhi immediatamente che c’è un problema strutturale grande come una casa che
    coinvolge il nostro sistema amministrativo centrale e periferico, un problema che da un governo
    all’altro non è stato seriamente affrontato se non con toppe piazzate all’ultimo momento. La
    questione dei fondi PNRR costituisce dunque un benvenuto stress test su larga scala delle capacità
    del sistema Italia e dovrebbe essere l’occasione per un franco esame di coscienza che coinvolga
    l’intera classe dirigente del paese. Un esame di coscienza da affrontare con lucidità e senza fughe
    verso scappatoie miracolistiche.

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