Tajani in Cina per rafforzare l’export italiano e preparare l’addio alla Via della Seta
I partner occidentali dell’Italia, Stati Uniti in testa, guardano con attesa a cosa deciderà il governo Meloni sulla partecipazione di Roma alla Via della Seta. Il tema è al centro delle discussioni in merito alla missione del ministro degli esteri Antonio Tajani in Cina, in corso in questi giorni. L’Italia, infatti, è l’unico Paese del G7 che fa parte della cosiddetta “Belt and Road Initiative”, il gigantesco progetto cinese di investimenti in infrastrutture lanciato nel 2013, tramite il quale Pechino punta a rafforzare la sua influenza nel mondo.
L’Italia ha aderito all’iniziativa nel 2019, quando a Palazzo Chigi c’era Giuseppe Conte, una decisione particolarmente criticata perché ha portato il Paese più vicino all’orbita cinese senza ottenere in cambio considerevoli ritorni economici. L’export italiano in Cina, infatti, è cresciuto poco dalla firma del memorandum mentre l’esecutivo di Conte si è mostrato particolarmente conciliante verso la Cina. E ciò ha allarmato gli alleati occidentali.
Il memorandum ha durata di cinque anni e si rinnova automaticamente. Il governo Meloni, quindi, ha tempo fino alla fine del 2023 per decidere se uscirne. Ecco allora che la visita di Antonio Tajani viene letta come un primo approccio ad alto livello per spianare la strada a un’uscita soft dell’Italia dall’intesa della Via della Seta; intesa che secondo il titolare della Farnesina “non ha prodotto nessun grande risultato”. Roma, infatti, non ha intenzione di inimicarsi la Cina che rimane la seconda potenza economica al mondo e un partner commerciale di primo livello.
Tajani ha deciso di mettere l’accento sul miglioramento dei rapporti bilaterali e commerciali. Il ministro degli esteri italiano ha incontrato il suo omologo, Wang Yi, e il ministro del Commercio, Wang Wentao, sottolineando su Twitter che lo scopo è quello di “esportare ancora di più e rendere sempre più operativo il nostro partenariato economico”.