Guerra a Gaza, il Papa invoca la soluzione dei due Stati, gli Usa pensano al dopo Netanyahu
L’esercito israeliano non è ancora entrato a Gaza City, la città più popolosa della Striscia di Gaza, per estirpare Hamas ma la guerra con il gruppo terroristico responsabile dell’attacco del 7 ottobre è già particolarmente feroce. Le truppe di Tel Aviv hanno negli occhi le terribili scene di ragazze, anziani, bambini uccisi dai miliziani di Hamas ormai quasi un mese fa e non si fanno problemi a bombardare in maniera estensiva la Striscia prima di assaltare le postazioni sotterranee del nemico. Martedì un raid aereo israeliano ha colpito il compo profughi di Jabanlia, uccidendo circa cinquanta persone: una mossa che non aiuta la ricerca del supporto esterno da parte di Netanyahu. L’Alto Commmissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) ha scritto su X (ex Twitter) che “dato l’elevato numero di vittime civili e l’entità della distruzione a seguito degli attacchi aerei israeliani sul campo profughi di Jabalia, temiamo seriamente che si tratti di attacchi sproporzionati che potrebbero equivalere a crimini di guerra”.
Anche Parigi si è detta “profondamente preoccupata per il pesante bilancio” degli attacchi sul campo profughi di Jabalia, sottolineando che “la protezione dei civili è un obbligo del diritto internazionale vincolante per tutti”. Papa Francesco ha dichiarato che il popolo palestinese e quello israeliano “devono vivere insieme”, ribadendo che quella di due popoli due Stati è una “soluzione saggia”. Il Pontefice ha rilasciato un’intervista al TG1 durante il giorno di Ognissanti, spiegando che “non si risolve nulla con la guerra. Niente. Tutto si guadagna con la pace, con il dialogo”. Sul fronte diplomatico, per il momento qualche risultato è stato raggiunto. Questa settimana, un gruppo di oltre 300 operatori internazionali e palestinesi con doppia cittadinanza, tra cui quattro italiani, sono riusciti ad evacuare tramite il valico di Rafah, al confine con l’Egitto.
Nel frattempo, trapelano i primi dubbi internazionali sul destino di Benjamin Netanyahu. Per l’amministrazione statunitense, infatti, il primo ministro israeliano ha i giorni contati. Lo rivela il sito Politico, che cita due alti funzionari della Casa Bianca. Netanyahu è ritenuto il principale responsabile dello scarso livello di sicurezzza che ha permesso ad Hamas di penetrare facilmente in territorio israeliano e ora le conseguenze della guerra a Gaza potrebbero segnarne la fine politica. Secondo Politico, Joe Biden avrebbe fatto presente, in maniera indiretta, al premier israeliano questo fatto, arrivando a suggerire di cominciare a pensare alle “lezioni” che vorrebbe trasmettere a chi prenderà il suo posto. Potrebbe addirittura essere una questione di mesi per Netanyahu, anche se l’imprevidibilità della guerra potrebbe scompaginare le previsioni dei funzionari statunitensi.