REPUTAZIONE SENZA PRODOTTO
Del caso Chiara Ferragni sappiamo già tutto. L’imprenditrice digitale, all’apice del suo successo che l’avrebbe portata nel 2024 a un fatturato di cento milioni di euro, è inciampata in un grave caso di “errore di comunicazione” su un tema delicato come la beneficenza per i bambini malati di cui si è accorto l’antitrust prima di lei. La vicenda di cui non si finisce di leggere e parlare e che sembra portare ad un caso di truffa aggravata, pone una interessante riflessione. Quando il prodotto sei te stesso, non puoi permetterti di sbagliare.
Le aziende che offrono prodotti di qualità possono avere momenti di difficoltà contingente sul mercato, ma resistono nel tempo. Una scarpa di bella fattura, ad esempio, certamente ha bisogno di essere conosciuta e pubblicizzata, ma alla fine s’impone da sola se viene riconosciuta come un prodotto valido. Al contrario se il prodotto è costruito totalmente sulla propria immagine individuale, il tempo e il minimo errore di “comunicazione” diventano fatali soprattutto se si ha avuto la pretesa di ergersi a modello etico di giustizia, correttezza e generosità.
Se il core business dell’impresa è totalmente costruito sul numero di follower che seguono te, la tua vita, i tuoi figli e la malattia dei tuoi cari, rendendo totalmente pubblica la tua vita privata, potrai fingere di vivere in una soap opera felice dove tutto va a buon fine, ma non potrai mai permetterti di tradire la fiducia dei tuoi seguaci. L’arroganza poi che il potere economico e di influenza ottenuto rendano la reputazione inossidabile diventa la pietra tombale che oscura la luce, in questo caso non propria, ma riflessa dal numero di follower.
L’errore nasce non tanto nel momento in cui l’imprenditrice digitale rende pubblica la propria esistenza, ma quando comincia a prendere posizione politica, quando pretende di influenzare il pensiero comune e soprattutto quando comincia a fare la morale. Una morale che tra l’altro non è la sua, ma è stata copiata e incollata dai trend culturali dominanti più seguiti sui social utili a raccogliere like. La riprova che abbia puntato sulla propria immagine associata ad una perfetta condotta morale da imitare sta nel fatto che da quando è scoppiato “il caso Pandoro”, l’imprenditrice digitale abbia smesso di postare contenuti sui social soprattutto dopo lo studiatissimo “video del maglioncino grigio” divenuto virale ma criticatissimo. Un disperato tentativo di scuse per recuperare consenso passando per vittima assolutamente mal riuscito.
Se il personaggio non è totalmente genuino e coerente, e nessuno lo può essere, prima o poi cade facendosi tanto più male quanto più è in alto. Che non fosse un personaggio genuino noi l’avevamo capito dal minuto uno e ci chiediamo come abbia potuto ingannare i milioni di follower che hanno cominciato a seguirla, ma ora la maschera è caduta facendo molto rumore.
Giovanni Zola