A sei mesi dal massacro del 7 ottobre, Israele si prepara a una nuova fase nella guerra contro Hamas. Tel Aviv ha annunciato che ridurrà il numero di truppe presenti nella zona Sud della Striscia di Gaza non per prepararsi a un ritiro in vista della fine del conflitto, ma per organizzare l’offensiva a Rafah, un’operazione che continua a non avere una data certa. L’obiettivo è far riposare i soldati impegnati per parecchi mesi a Khan Younis, per poi andare a caccia degli ultimi battaglioni di Hamas rifugiatisi nella città al confine con l’Egitto.
Nel frattempo, arrivano messaggi contrastanti dal Cairo, dove sono in corso i negoziati per un cessate il fuoco. Ieri le agenzie di stampa hanno ripreso la notizia riportata dal quotidiano egiziano Al Qahera News: secondo un allo funzionari egiziano ci sono “progressi significativi” nelle trattative. “Il ciclo di negoziati al Cairo sta testimoniando un grande progresso nel riavvicinamento dei punti di vista”, ha detto tale fonte ad Al Qahera, spiegando che di fatto ci sarebbe un accordo sugli “assi fondamentali tra tutte le parti”. Una volta trapelata, la notizia ha suscitato, però, reazioni di segno opposto.
Alcuni media israeliani come Ynet e Channel 12 hanno riportato il giudizio di alti funzionari israeliani i quali non vedono un accordo all’orizzonte dal momento che la distanza tra le parti è “ancora grande e finora non c’è stato nulla di drammatico” che lasci pensare che un accordo possa essere raggiunto a breve. Al Jazeera ha riportato il commento di un’importante fonte di Hamas secondo la quale Tel Aviv non ha dato seguito ad alcuna delle richieste dell’organizzazione terroristica palestinese. Un’altra fonte palestinese ha spiegato al canale libanese Al-Mayadeen che “tutti i tentativi e gli sforzi dei mediatori per raggiungere un accordo si sono scontrati con l’ostinazione israeliana”, secondo quanto ripreso dalle agenzie di stampa. Secondo quanto scrive il quotidiano Haaretz, tale fonte ha ribadito che “Hamas resta fermo alle sue richieste, che includono il cessate il fuoco, il ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza, l’ingresso di aiuti, il ritorno degli sfollati di Gaza e uno scambio di prigionieri”.