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    Petrolio: gli investitori tornano in forze a scommettere su un recupero dei prezzi

    Forze ribassiste ancora potenti: chiusi più di 6.000 pozzi in North Dakota a causa dei prezzi troppo bassi

    Gli investitori stanno tornando a scommettere su una ripresa dei prezzi del petrolio, anche se le forze ribassiste restano così potenti che per ora è quasi impossibile contrastarle. Le quotazioni del barile sono di nuovo andate a picco, guidate dalla fuga degli Etf e in generale dei piccoli investitori, a molti dei quali i broker ormai precludono la possibilità di aprire nuove posizioni sui futures con scadenza vicina: una tendenza che assottiglia la liquidità e rende il mercato ancora più volatile.

    Sono sempre più numerose le banche cinesi che sospendono la vendita di Etf sul petrolio e altre materie prime, facendo così venir meno una porzione di acquisti. Nello stesso momento emergono indiscrezioni su perdite record a carico dei risparmiatori: clienti retail di Bank of China secondo Caixin, avrebbero perso 1,3 miliardi di dollari.

    Proprio quel tonfo sembra aver dato la spinta decisiva agli hedge funds, che già da qualche tempo avevano cominciato a riposizionarsi, per lucrare su un rimbalzo del prezzo del barile. Nella settimana al 21 aprile i fondi speculativi hanno aumentato del 28% l’esposizione netta lunga sul greggio, portandola a 344mila lotti. Si è trattato soprattutto di nuove scommesse rialziste di cui il protagonista assoluto è stato il Wti: il 90% delle posizioni nette lunghe oggi è concentrato sul greggio Usa.

    Gli hedge funds ovviamente possono sbagliare. Molti sono stati travolti dai recenti sviluppi sul mercato, che non erano stati previsti. Ma i segnali di una prossima ripresa del petrolio non mancano.

    In molti Paesi del mondo il lockdown sta attenuando e la domanda, ridotta di un terzo dal coronavirus, dovrebbe risalire sia pure in modo graduale. Allo stesso tempo la produzione ora scende davvero.

    I tagli Opec Plus, da 9,7 milioni di barili al giorno, sono iniziati prima del 1° maggio, data di avvio pattuita: di fronte allo scarso appetito dei clienti persino l’Arabia Saudita ha accelerato secondo fonti Bloomberg. Lo stesso ha fatto qualche compagnia in Russia, mentre si sono mossi ufficialmente in anticipo Kuwait, Algeria, Nigeria.

    Ma a colpire è soprattutto quanto accade nei Paesi esterni alla coalizione, a cominciare dagli Stati Uniti, dove la ritirata dei produttori in alcune aree è diventata addirittura precipitosa.

    In North Dakota sono stati chiusi più di 6mila pozzi , con una perdita di almeno 400mila barili al giorno, il 30% del totale dello Stato. In Oklahoma è stata sospesa la legge che impone di continuare l’attività per mantenere la licenza di estrazione: un atto che ha incoraggiato molti produttori a fermare del tutto le trivelle.

    Tra quanti hanno compiuto questa scelta drastica c’è Continental Resources. La compagnia fondata dal petroliere Harold Hamm, consulente e amico di Donald Trump, avrebbe anche invocato la causa di forza maggiore per sfuggire agli obblighi con le raffinerie clienti, a causa del crollo dei prezzi.

    In un perfetto gioco di sponda il governatore dello Stato, Kevin Stitt, ha intanto chiesto alla Casa Bianca di dichiarare che il disastro dell’Oil& Gas dipende da un «atto di Dio», in modo da agevolare un ricorso di massa a questo scudo legale.

    Andrea Curcio

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