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    PMI contro i giganti del web: il peso del fisco tra disparità e sfide

    In Italia, le piccole e medie imprese (PMI) subiscono una pressione fiscale enormemente superiore rispetto ai giganti del web. Secondo l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, le PMI italiane versano annualmente 24,6 miliardi di euro all’erario, una cifra 120 volte superiore rispetto ai 206 milioni pagati dalle 25 multinazionali del web operanti nel Paese. Questa disparità è resa possibile da pratiche elusive, che permettono alle grandi aziende tecnologiche di trasferire parte degli utili verso paesi a fiscalità agevolata, lasciando all’Italia solo una minima parte del gettito.

    Sebbene le dimensioni economiche delle PMI siano decisamente inferiori a quelle delle grandi multinazionali tecnologiche, la sproporzione tra il fatturato e il carico fiscale rimane evidente e ingiustificata. Le PMI italiane pagano tasse per 120 volte di più rispetto alle grandi aziende del web, pur producendo un fatturato che è solo 90 volte inferiore. Come sottolinea la Cgia, tale squilibrio evidenzia come, nonostante le differenze di dimensioni, il prelievo fiscale sulle PMI risulti molto più gravoso rispetto a quello imposto alle WebSoft, le grandi società tecnologiche.

    Le multinazionali del web attive in Italia, denominate WebSoft, provengono principalmente dagli Stati Uniti e dalla Cina. Lo studio di Mediobanca individua 25 aziende, suddivise in quattro categorie principali: il settore e-commerce, in cui troviamo Amazon, Alibaba e Rakuten, il campo Software con Microsoft, Oracle e SAP, quello dei Servizi Internet e Media con Alphabet (Google), Meta (Facebook) e Tencent e infine il settore Trasporti e Cibo a Domicilio con Uber e Meiuan. Le aziende qui sopra riportate godono di un regime fiscale molto più favorevole rispetto alle imprese italiane, con un tax rate effettivo del 36%, rispetto a quasi il 50% per le PMI.

    A livello regionale, solo le imprese di Molise e Valle d’Aosta pagano meno tasse delle multinazionali del web. In Molise, il gettito delle imposte è di 175 milioni di euro, mentre in Valle d’Aosta ammonta a 190 milioni. Al contrario, le imprese della Lombardia contribuiscono con ben 25,7 miliardi di euro, 125 volte in più rispetto ai colossi digitali. Le altre regioni seguono in misura minore, con il Lazio che versa 11,7 miliardi e l’Emilia-Romagna 7,8 miliardi, cifre comunque molto superiori rispetto alle WebSoft.

    Con l’introduzione della Global Minimum Tax (GMT), che prevede un’aliquota minima del 15% sulle multinazionali, si sperava di ridurre il divario fiscale tra PMI e grandi aziende. Tuttavia, secondo il dossier del Servizio Bilancio della Camera, l’impatto della GMT sarà limitato. Si prevede che entro il 2025 il gettito sarà di 381 milioni di euro, raggiungendo i 500 milioni solo nel 2033. Questa cifra, pur importante, non risolverà la disparità fiscale, soprattutto perché alcuni paesi dell’UE, come Estonia, Lettonia e Lituania, hanno ottenuto proroghe fino al 2030 per adeguarsi alla nuova normativa. Questo permette alle multinazionali di continuare a sfruttare regimi fiscali vantaggiosi in alcuni Stati membri per diversi anni ancora.

    Non sono solo i colossi stranieri del web a beneficiare di queste pratiche. Anche alcune grandi aziende italiane, come Ferrari, Fiat e Luxottica, hanno trasferito le loro sedi fiscali in paesi con tassazioni più favorevoli, come i Paesi Bassi. Pur mantenendo gran parte delle loro attività in Italia, queste imprese riescono a ridurre significativamente la loro base imponibile. Questo comportamento penalizza ulteriormente le PMI, che non possono permettersi simili trasferimenti, costringendole a sostenere la totalità del carico fiscale nazionale.

    Oltre al pesante carico fiscale, le PMI italiane devono affrontare anche costi energetici tra i più alti d’Europa. Nel biennio 2022-2023, le imprese italiane hanno pagato l’elettricità il 9,9% in più rispetto alla media UE, con un aggravio di 11,8 miliardi di euro. Il costo dell’elettricità in Italia, pari a 28,44 centesimi di euro per kWh, è tra i più alti dell’Unione economica e monetaria (UEM), con differenze del 10,1% rispetto alla Francia, del 13,4% rispetto alla Germania e addirittura del 44,4% rispetto alla Spagna.

    Il quadro che emerge dalla comparazione tra PMI e multinazionali del web in Italia è profondamente sbilanciato. Le piccole imprese italiane sono soggette a un carico fiscale che, in proporzione, le penalizza fortemente rispetto ai colossi del digitale, che sfruttano scorciatoie fiscali e regimi agevolati. Sebbene l’introduzione della Global Minimum Tax rappresenti un primo passo verso una maggiore equità fiscale, la sua applicazione frammentata e graduale rischia di lasciare inalterata la situazione per diversi anni. Di fronte a questi squilibri, le PMI continuano a chiedere una riduzione della pressione fiscale, già considerevolmente aggravata anche dai costi energetici.

    Gloria Giovanditti

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