Coniugare la ripresa dell’attività produttiva nella Fase 2 con la “babele” normativa
Con il DPCM del 26.4.2020 è iniziata la cosiddetta Fase 2, caratterizzata dall’allentamento delle restrizioni stabilite con la decretazione d’urgenza per il contenimento del contagio da Coronavirus.
Con la Fase 2, delimitata dal Governo alla fascia temporale 4-17 maggio (ad eccezione di alcune aziende cui è permesso esaurire la distribuzione delle giacenze di magazzino) è stata concessa, alle imprese indicate nell’allegato 3 dello stesso DPCM, di riprendere l’attività imprenditoriale, a condizione che venga garantita la predisposizione di una serie di misure di contenimento del contagio previste dal Protocollo Governo-Sindacati del 24.04.2020 integrativo di quello precedente del 14.03.2020.
L’attività imprenditoriale ha l’obbligo pertanto di adottare tutte le misure di sicurezza specificamente previste per il contenimento del contagio da coronavirus, nonché quelle che si rendono necessarie in connessione con il concreto ambiente di lavoro.
Il programma di prevenzione non è semplice da interpretare e riprova ne sia la estenuante serie di decreti, ordinanze e circolari (ad oggi ben 218 !) diramati dal Governo e dagli Enti territoriali dall’’insorgere della crisi epidemiologica, senza contare i chiarimenti, le risposte ad interpello, le risposte alle Faq, ecc..
Tutto ciò rende davvero ardua la coniugazione tra “ripresa” e “rispetto della legge”.
Con riferimento alla tutela dei lavoratori addetti all’attività produttiva è indispensabile quindi adottare un’efficace programmazione per la sicurezza con un’attenta individuazione del rischio contagio, da integrare con il sistema di prevenzione già esistente.
Relativamente ai protocolli di sicurezza anti-contagio è fondamentale applicare e dotarsi di sistemi, soluzioni e DPI anti Covid-19; in particolare ed a titolo esemplificativo sono necessari:
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adeguata informazione e formazione ai lavoratori ed ai terzi che vengano in contatto con l’azienda;
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organizzazione delle modalità di ingresso ed uscita dei lavoratori e dei fornitori al fine di favorire il distanziamento sociale;
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adeguato ricambio dell’aria;
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regolamentazione riguardante gli Appalti endo-aziendali;
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pulizia e sanificazione dei locali;
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precauzioni igieniche personali;
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DPI anti–contagio;
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sorveglianza sanitaria interna;
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vigilanza sulle condotte dei lavoratori;
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aggiornamento DVR, DUVRI e MOG (Modello Organizzativo e Gestionale ex L. 231/01).
Invero il problema non si esaurisce con la semplice elencazione appena fatta, in quanto da ciascuno di tali doverosi adempimenti, discendono una serie di problematiche correlate.
Un esempio su tutti: la fornitura dei DPI.
Sono idonee tutte le tipologie di mascherine o devono essere fornite necessariamente quelle che rispondono a determinati requisiti, come le FFP2/FFP3/N95/KN95 ?
Possono essere fornite anche quelle d’importazione o devono necessariamente avere il marchio CE ?
Deve il datore di lavoro considerare la compatibilità dei DPI con le specifiche esigenze lavorative e le caratteristiche dei lavoratori, assicurandosi cioè che chi li utilizzi/indossi non subisca conseguenze (come: lividi, irritazioni, allergie, etc.) ?
In un simile panorama è del tutto evidente come sia indispensabile rimodulare le modalità di svolgimento dei percorsi formativi, soprattutto se si considera che la mancata prevenzione e persino quella parziale o inadeguata determinano gravi conseguenze che vanno dalla sospensione, alla chiusura temporanea dell’attività, nonché sanzioni amministrative e penali a carico non solo del datore di lavoro, ma anche della stessa azienda/società.
Dirimente della responsabilità del datore di lavoro sarà sempre e comunque la PREVENZIONE dei rischi; prevenzione che dovrà scaturire da un’accurata e doverosa PROGRAMMAZIONE della sicurezza aziendale.
IL PROCOLLO E’ UN ABITO SU MISURA
DI OGNI AZIENDA
Nonostante la considerazione che gli effetti del Coronavirus sulla salute delle persone possano essere considerati come Rischio Generico e non già come Rischio Specifico, ovvero connesso e conseguente all’attività imprenditoriale, il datore di lavoro può incorrere in responsabilità di carattere civile, amministrativo e/o penale tutte le volte in cui sia dimostrato un programma di prevenzione non idoneo al contenimento del contagio secondo le migliori tecniche e conoscenze scientifiche del momento.
Va quindi chiarito come sia assolutamente necessario che ciascuna azienda si munisca di un proprio Protocollo, ossia studiato ed elaborato sulla base delle specifiche esigenze e caratteristiche di ogni singola impresa.
Non serve in alcun modo, ed anzi sarebbe forse ancor più pericoloso e dannoso, ricorrere a modelli di protocollo generali, di cui v’è ormai abbondanza persino in rete.
Il Protocollo, in buona sostanza, è come un abito che deve essere confezionato su misura per ciascuna azienda; solo così -se idoneo- potrà consentire al datore di lavoro ed alle altre figure professionali dell’organigramma aziendale di scongiurare il rischio di azioni di responsabilità civili, amministrative e penali.
SANZIONI PENALI PER IL DATORE DI LAVORO
E NON SOLO
La normativa emergenziale non prevede nuove sanzioni penali per i datori di lavoro che violino le misure restrittive imposte alle attività produttive.
La legge prevede però a carico del datore di lavoro (ma anche per il medico competente e l’RSPP) una serie di reati previsti sia dal Dlgs 81/08 che dal codice penale.
A titolo d’esempio, ma non a carattere esaustivo, il datore di lavoro sarà responsabile qualora ometta di informare i lavoratori circa il pericolo esistente, le misure predisposte e i comportamenti da adottare; richiedere l’osservanza delle norme vigenti e delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza/igiene/uso DPI; programmare interventi in caso di pericolo immediato; fornire DPI; nominare il medico competente per la sorveglianza sanitaria; etc. .
SANZIONI PER LE SOCIETA’
Qualora il contagio si verifichi all’interno di un’impresa organizzata in forma societaria, questa potrebbe essere chiamata a rispondere, non solo in sede giudiziale civile e/o del lavoro, ma anche in sede penale ai sensi del D.Lgs. 231/2001 e ciò accadrebbe nel caso in cui il reato sia stato commesso da soggetti che esercitano funzioni di rappresentanza/amministrazione/direzione (es: CdA, A.D., dirigenti o preposti) o siano da questi vigilati o controllati; oppure la società potrebbe risponderne se dalla commissione del fatto ne ha tratto o intendeva trarne un interesse/vantaggio o un risparmio di spesa o tempo.
CHI SIAMO
COME POSSIAMO ESSERVI D’AIUTO
Il nostro è un gruppo di lavoro consolidato e composto in partnership da:
– un avvocato esperto in diritto del lavoro e prevenzione antiinfortunistica;
– un avvocato esperto in diritto penale dell’impresa e del white collar;
– un ingegnere esperto in sicurezza, safety engineering, acustica ambientale, termografia ad infrarosso (UNI EN 473 e ISO 9712), nonché energy manager, project manager (UNI 11648/2016), esperto in gestione dell’energia (UNI CEI 11339/2009), data protection officer (UNI 11697/2017), esperto in ambito gestionale – direzione d’impresa.
Operiamo in stretto contatto con l’Istituto Superiore della Sanità (ISS); siamo altresì presenti in gruppi di lavoro nazionali ed internazionali in materia di ambiente e sicurezza.
Abbiamo inoltre in partnerariato centro accreditato Anfos (anche in modalità AD-formazione a distanza) per il rilascio degli attestati formativi ai sensi del D.Lgs. 81/2008 ed Accordo Stato-Regioni.
Per info: avv.massimosaracino@gmail.com
avv. Massimo Saracino avv. Mario Soggia ing. Luca Tagliente