La Pubblica Amministrazione (PA) italiana è tra le peggiori in Europa nell’offerta di servizi digitali pubblici, causando tempi di attesa elevati per permessi e autorizzazioni. Questo significa che imprenditori e cittadini spesso devono affrontare iter burocratici complicati, tra carte, timbri e code agli sportelli. Tale situazione è diventata fonte di stress per molti, e la lentezza nel miglioramento della qualità dei servizi pubblici ha consolidato la prassi di richiedere alle imprese documenti e dati che la PA già possiede. Questa inefficienza è stata segnalata anche dall’Ufficio Studi della CGIA di Mestre.
Le ripercussioni economiche sono enormi: secondo l’OCSE, le piccole e medie imprese italiane (PMI) spendono annualmente circa 80 miliardi di euro per gestire le procedure amministrative, una sorta di “tassa nascosta” particolarmente onerosa. In Italia, il 73% degli imprenditori considera la burocrazia un ostacolo, una percentuale superata solo in Slovacchia, Grecia e Francia, mentre la media dell’Eurozona è del 57%.
La PA, anziché essere un supporto, si trasforma quindi in un freno per l’economia del Paese. Pur esistendo alcuni esempi di eccellenza, mediamente la macchina amministrativa italiana incontra grandi difficoltà, specialmente in alcune aree dove rappresenta un serio ostacolo allo sviluppo. Per esempio, il Regional Competitiveness Index (RCI) colloca la Provincia Autonoma di Trento, prima tra le amministrazioni italiane, al 158º posto su 234 territori monitorati a livello europeo.
Un’analisi dell’OCSE evidenzia come l’inefficienza della PA influisca negativamente sulla produttività delle imprese. La produttività media risulta infatti maggiore nelle regioni del Nord Italia, dove l’efficienza della PA è più alta. Al contrario, nelle aree con servizi pubblici meno funzionali – come il Sud Italia, caratterizzato da inefficienze nella giustizia, sanità e infrastrutture – anche le imprese private soffrono in termini di competitività.
Gloria Giovanditti