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    Il MES, conoscerlo prima di darne un giudizio

    Introduzione

    Il Meccanismo Europeo di stabilità, MES, un mantra che ritorna ormai giornalmente alle nostre orecchie, chi lo vuole chi non lo vuole, chi dice che ci renderà schiavi della Germania, chi dice, “ma se ci danno dei soldi prendiamoli”. Insomma una gran confusione, che peraltro pare essere la cifra imperante in questo momento nel nostro Paese. Ora con questo articolo non voglio aggiungere l’ennesimo parere o punto di vista, ma dare solo degli spunti per conoscere cosa è il MES, quando è nato, quando è stato utilizzato e come. Poi da un percorso di conoscenza dell’oggetto spero che potranno essere i lettori a darne un giudizio, magari scevro da pareri, preconcetti ed altre bizzarre interpretazioni che si trovano a decine nel panorama odierno dell’informazione.

    Il MES

    Ha visto la luce nel 2012, in sostituzione del Fondo europeo di stabilità finanziaria e del Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria. Esso è diventato quello che era il fondo monetario del Vecchio Continente, avente l’obiettivo di dare sostegno ai Paesi membri in caso di crisi e di probabile default.

    Ad oggi il Meccanismo Europeo di Stabilità è stato utilizzato per tre casi: Cipro, Spagna e Grecia e ad onor del vero, specie nel caso della Grecia, possiamo dire che ha “salvato” il Paese.

    Il Fondo è alimentato dagli stati dell’Unione e l’Italia, con circa il 17% di quota, è il terzo contribuente dopo la Germania e la Francia. Ha sede a Lussemburgo.

    La mission è quella di emettere prestiti a basso tasso e condizionati a determinati obiettivi e vincoli soltanto a Paesi che ne facciano richiesta per un evidente e conclamato stato di dissesto.

    L’azione del MES opera in tre fasi:

              1. Lo Stato in difficoltà avanza al Presidente del Consiglio dei governatori del fondo salva-Stati una richiesta di assistenza.
              2. Il MES chiede alla Commissione UE di valutare lo stato di salute del Paese in questione e di definire il suo fabbisogno finanziario. In questa fase l’esecutivo comunitario e la BCE (e se necessario il FMI) analizzano se la crisi di quello Stato può contagiare il resto dell’Eurozona.
              3. Dopo la valutazione, l’organo plenario del MES decide di agire e aiutare il Paese in difficoltà (il tutto più o meno nell’arco di 7 giorni dalla data di presentazione della richiesta formale di assistenza). Come lo aiuta? Attraverso prestiti.

    Facciamo un passo avanti nell’analizzare tali prestiti. Il tema cruciale è il famigerato assunto “senza condizioni”: la paura nasce da quanto avvenuto con il salvataggio della Grecia dove, a fronte del salvataggio con i soldi del MES, fu imposta una riforma lacrime e sangue in tema di fallimenti bancari, disoccupazione, taglio al welfare, etc. e ciò è innegabile; è altrettanto innegabile che la Grecia dopo la cura da cavallo si è rialzata ed ora ha degli spread sui titoli di Stato (indice primario dello stato di salute dei conti pubblici di un Paese) simili all’Italia, spread a 260 punti base per la Grecia rispetto ai 240 dell’Italia.

    La discussione, come abbiamo letto sulla stampa, è andata avanti per giorni e giorni. Il punto di sintesi è stato infine trovato e l’Eurogruppo ha dato via libera a un MES senza condizioni con alcuni nota bene che vanno ben capiti ed analizzati.

    I Paesi UE potranno utilizzare questa provvista soltanto per finanziare le spese sanitarie riguardanti il coronavirus, siano esse dirette o indirette, o per sostenere i costi di prevenzione e cura della malattia. Quindi il prestito deve essere finalizzato all’emergenza sanitaria; questa la vera condizione.

    “I giorni scorsi sono stati intensi, ma abbiamo raggiunto un buon risultato all’Eurogruppo. Abbiamo trovato un accordo sensato per i Paesi Bassi e per l’Europa, per far fronte alle conseguenze del coronavirus”, questo ha detto il famigerato ministro olandese Hoekstra.

    Vale la pena di notare e ribadire che la decisione di attivare o meno il meccanismo spetterà in ultima istanza soltanto allo Stato interessato ai fondi, dunque nessuna imposizione, solo scelta libera del Paese. Se questo vorrà utilizzarli per fronteggiare l’emergenza COVID-19, allora potrà farlo senza essere gravato dalle note “condizioni” tanto osteggiate da una buona parte dei politici italiani. Quindi tutta questa paura del ‘senza condizioni’ è stata abbondantemente disinnescata e se utilizzato per spese sanitarie pare oggi un prestito non particolarmente vessatorio per chi lo usa.

    Fatto questo excursus, vediamo un po’ quanto potrebbe avere l’Italia ed a che prezzo. La cifra che il Fondo sarebbe in grado di erogare all’Italia è nell’ordine di circa 36 miliardi al tasso simbolico dello 0,1% e per un periodo di ammortamento pari a 10 anni.

    Come in ogni seria analisi, va fatta una comparazione con strumenti di debito simili o succedanei a questo. Il primo paragone ovvio è quello con i BTP, classico strumento di debito di ogni Stato. Il 18 maggio ci sarà la prossima asta BTP Italia (ovvero quelli indicizzati all’inflazione) e pare che il tasso sarà nell’intorno del 1% con scadenza però a 5 anni. Ma l’ultima recente asta di BTP decennali ha scontato un tasso oltre il 2%!. Un secondo paragone molto sbandierato è quello con gli Eurobond: in estrema sintesi un prestito non derivante da titoli nazionali (tipo i BTP) ma da titoli europei (dunque il debito che si forma da tale emissione non grava solo sull’Italia ma sull’intero sistema Europa che adotta l’euro), ma francamente come si può solo immaginare che la Germania ed altri Paesi molto meno indebitati dell’Italia accettino tale soluzione e vengano emessi titoli di debito che gravano sulle spalle di tutti e vanno a finanziare i Paesi oltremodo indebitati? La storia che l’Olanda e gli altri Stati del nord Europa sono cattivi a non accettare questa ipotesi è un po’ semplicistica. Non hanno convenienza ad accettarla e non lo fanno e non lo faranno.

    Conclusioni

    Come promesso non voglio tirare nessuna conclusione sulla convenienza o meno di tale opportunità, che l’Italia, ripeto, può attivare o non attivare a sua scelta. L’unica cosa che mi sento di dire è: se questi soldi servissero ad una politica di sviluppo dell’economia e degli investimenti sanitari (anche fossero solo investimenti pubblici) ben vengano, se devono ancora andare a sussidiare una politica passiva di incremento dei vari redditi di cittadinanza, redditi di emergenza e chi più ne ha più ne metta, allora sarebbe davvero pericoloso.

    Al lettore l’ardua sentenza.

    Enrico Viganò – Europartner

    Euro.fin@europartner.it

    www.europartner.it

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