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    Il destino dello smart working

    Mentre anche il mondo del lavoro sta riacquistando una certa normalità, le aziende si domandano se convenga continuare con lo smart working.

    Mentre le aziende riaprono e la situazione sanitaria rimane più o meno stabile, molti datori di lavoro si interrogano su quale lezione trarre da questi mesi di smart working obbligato. Molte realtà infatti, in particolar modo quelle che si occupano di servizi, durante il lockdown sono state costrette a chiudere gli uffici e a chiedere ai dipendenti di continuare a lavorare, laddove possibile.

    In questo momento alcune aziende stanno analizzando i benefici emersi da questa modalità inusuale di lavoro. Nonostante sia ancora diffuso il preconcetto secondo cui lavorare in un posto diverso dall’ufficio significa sfuggire al controllo del proprio responsabile e quindi lavorare di meno, nei tre mesi passati spesso abbiamo assistito al fenomeno opposto: non dovendo “timbrare” il cartellino in azienda, molti dipendenti si sono trovati al computer o al telefono con clienti e colleghi ben dopo l’orario solito in cui si terminava prima della pandemia.

    Le linee guida delle autorità sanitarie e dell’Inail suggeriscono di continuare a preferire lo smart working al ritorno in ufficio perché gli edifici affollati, soprattutto gli open space, aumentano il rischio di contagio. D’altra parte è stata allargata la platea di coloro che possono invocare il diritto al “lavoro agile”: se prima infatti questa modalità era limitata solo a invalidi e immunodepressi, con il DL 43/2020, art.90, anche i genitori con i figli minori di 14 anni possono fare richiesta.

    In generale comunque, sarebbe opportuno che ogni azienda valutasse la necessità di avere i dipendenti in ufficio. È possibile infatti che sia conveniente lasciare alcuni reparti in loco e permettere ad altri di proseguire lo smart working. Oppure alternare alcuni giorni in ufficio e altri di lavoro agile. In questo modo viene meno la capacità capillare di controllo “fisico” dei dipendenti ma allo stesso tempo, se questo approccio viene promosso da un’azienda con una radicata cultura manageriale, viene incentivata la responsabilizzazione e una logica di lavoro basata non sulle ore lavorate ma sul raggiungimento di obiettivi.
    Un’ipotesi che deve essere valutata caso per caso, ma che rientra nella legge sul lavoro agile (81/2017) che permette questo genere di flessibilità

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