Avvocato La Terra Albanelli: “Cancellerie chiuse per tre mesi, molto difficile accedere agli atti processuali”. Così cambia la giustizia dopo il Coronavirus.
Ieri mi è capitato di assistere ad un’udienza presso la sezione penale della Corte d’Appello di Messina, dopo la riapertura alla fine dell’emergenza Coronavirus.
All’ingresso, oltre ai controlli generali di routine, gli addetti prendevano la temperatura a tutte le persone.
All’interno dell’edificio c’era il solito via vai di gente: impiegati, avvocati, magistrati, tutti indaffarati nelle loro faccende, tutti che indossavano rigorosamente la mascherina.
Entrato nell’aula dell’udienza mi accomodai su una panchina. Sempre per rispettare le misure anti-contagio, l’aula non era climatizzata. Ad un certo punto cominciai a sentire caldo. Fortunatamente c’erano le finestre aperte.
Osservavo gli avvocati mentre esponevano le difese a sostegno dei propri assistiti, indossando sempre la mascherina. Mi chiedevo come facessero ad esprimersi con estrema disinvoltura in quell’aula calda, con la toga e con la mascherina che ostacola la parola.
Uno di loro chiese al presidente della Corte di potersela togliere per un momento, il quale acconsentì, essendo rispettate le distanze di un metro e mezzo.
L’arringa di un difensore è molto importante, da essa può dipendere la libertà di un imputato.
Ad udienza terminata, mi avvicinai ad uno dei legali, l’avvocato Licinio La Terra Albanelli del Foro di Catania, al quale chiesi quali difficoltà sta attraversando la categoria forense, a causa dell’emergenza Covid.
“Per ben tre mesi non abbiamo avuto accesso ai fascicoli e agli atti dell’udienza, documenti che si trovano all’interno degli uffici giudiziari. Questo è stato un grave problema per la nostra attività di difensori, non avere la pronta reperibilità degli atti è qualcosa che inficia grandemente il nostro lavoro. In materia penale, l’art.83 del Cura Italia aveva infatti vietato l’accesso alle aule ed alle cancellerie, tranne per gli arresti in flagranza, le custodie cautelari e le convalide, quindi per tutti i casi in cui interveniva immediatamente un provvedimento di privazione della libertà.
Peraltro i palazzi di giustizia hanno anche suddiviso la quantità di personale in diverse fasce orarie per evitare i contagi. Questo ha comportato ulteriori lungaggini, già prima dell’emergenza il personale era limitato e le cose non funzionavano proprio benissimo”.
Insomma, l’emergenza coronavirus è stato un terremoto anche per la giustizia: per gli imputati sui quali pendono accuse dalle quali è difficile difendersi, non essendo stato consentito l’accesso agli atti per mesi e per gli stessi avvocati, i veri garanti di un processo equo e giusto per tutti.
Andrea Curcio