L’affondo di Beppe Sala sullo smart working
Il sindaco milanese ritorna sulla sua posizione e accusa: “Parte della città è ferma perché qualcun altro non lavora in presenza”. E sugli stipendi dei dipendenti pubblici rilancia una proposta di riforma.
Repetita iuvant. Almeno così pensa Beppe Sala che torna sul dibattuto tema dello smart working, ribadendo la necessità di ritornare al più presto al lavoro in presenza per risollevare le sorti economiche del capoluogo lombardo. “È evidente che una parte della città è ferma perché qualcun altro non lavora in presenza”, è l’affondo rilasciato ai microfoni di Sky Tg24, pur comprendendo la necessità dettata dalla situazione, ancora non completamente risolta, di emergenza sanitaria. Ma guai a che diventi la normalità, perché in tal caso “andrebbe ripensata interamente la città – ha spiegato il primo cittadino milanese – e ripensare la città richiede tempo”. Tempo che neppure una città come Milano può permettersi di perdere: “Mi dicono che difendo bar e ristoranti, certo che li difendo – ha aggiunto – ma non penso solo a loro, penso ai taxi, a tutto il mondo dello spettacolo, tutta gente che normalmente non ha un contratto a tempo determinato, vive se lavora. Cosa fanno queste persone se la città è vuota?”.
Già a metà di giugno il sindaco aveva lanciato l’allarme, invitando i cittadini a ripopolare le scrivanie con la famigerata frase: “È arrivato il momento di tornare a lavorare, perché l’effetto grotta per cui stiamo a casa e prendiamo lo stipendio ha i suoi pericoli”, come a dire che la vacanza è finita, scatenando uno stuolo di polemiche anche in seno alla sua giunta, con l’assessore al Lavoro Cristina Tajani sul piede di guerra. Tanto da dover poi ricorrere all’asilo del Corriere della Sera per affidare l’apologia del suo pensiero, “bisogna ricominciare a fidarsi”, aveva scritto, perché “una città resa fantasma è un incubo inaccettabile. Riprendere la vita vivente: ho inteso dire questo”.
Ma lo smart working non è l’unico argomento sul quale le parole del sindaco Sala hanno suscitato scalpore. Il primo cittadino milanese è tornato ancora sul tema degli stipendi dei dipendenti pubblici di Nord e Sud del Paese, dopo la diretta Facebook di InOltre-Alternativa progressista, dove aveva sottolineato come “intrinsecamente sbagliato” la parità di retribuzione – a parità di ruolo, s’intende – per un lavoratore di Milano ed uno di Reggio Calabria, perché il costo della vita nelle due realtà è sostanzialmente diverso. Dopo le proteste trasversali che non sono tardate ad arrivare, Sala ha confermato la sua posizione: “Gabbie salariali? Tutti hanno parlato di gabbie salariali tranne me – ha detto ai microfoni di SkyTg24 – anzi, al contrario, io penso ad un modo per “sgabbiare” dalla rigidità attuale”. Una riforma del settore pubblico all’orizzonte è la sua ipotesi? “La cosa che per me è difficile accettare è l’accettazione della differenza tra settore privato e settore pubblico – ha ribadito – nel settore privato, lo dice lo Svimez, c’è un’enorme differenza retributiva tra Nord e Sud, se parli del pubblico diventa un tabù”. Ecco allora la proposta di rivedere, almeno, la contrattazione locale. Strada che Palazzo Marino ha cominciato a percorrere con la sigla – con rappresentanti sindacali e dipendenti – di un accordo integrativo per introdurre una parte variabile nello stipendio a seconda del livello della prestazione.
Micol Mulè