Licenziamento della lavoratrice per “riorganizzazione aziendale”: nullo se nel “periodo di matrimonio”.
Il Tribunale di Milano (Trib. Mi., sez. lav. 6 luglio 2020, n. 693, dott.ssa Chirieleison) ha dichiarato nullo il licenziamento nei confronti di una lavoratrice per “riorganizzazione aziendale” intervenuto nel periodo di divieto di cui all’art. 35 del Codice delle Pari Opportunità.
Come noto, l’art. 35 del Codice delle Pari Opportunità prevede, per quanto qui interessa, che (1) «nulli sono i licenziamenti attuati a causa del matrimonio»; (2) «si presume che il licenziamento della dipendente nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno dopo la celebrazione stessa, sia stato disposto per causa di matrimonio» e da ultimo (3) «Al datore di lavoro è data facoltà di provare che il licenziamento della lavoratrice, avvenuto nel periodo […], è stato effettuato non a causa di matrimonio, ma per una delle seguenti ipotesi: a) colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro; b) cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta; c) ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine».
Nel caso di specie era pacifico che la lavoratrice avesse contratto matrimonio e che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo “generale ripensamento della Funzione che costituisce l’agire aziendale nell’ambito delle vendite e delle strategie di vendite e, dunque, del Retail” fosse intervenuto nel periodo di divieto di cui al precedente paragrafo (dalla richiesta delle pubblicazioni di matrimonio ad un anno dalla sua celebrazione).
A fronte dell’impugnazione del licenziamento da parte della lavoratrice e del successivo deposito del ricorso giudiziale, il datore di lavoro si era difeso richiamando la deroga al divieto di licenziamento per causa di matrimonio di cui al punto b) del quinto comma dell’art. 35 del Codice della Pari Opportunità “cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta”.
Il Tribunale di Milano accoglieva il ricorso e rilevava la tassatività dei motivi indicati dalla Legge quale deroga al divieto di licenziamento.
Nello specifico il Tribunale richiamava il seguente orientamento di legittimità «tra le ipotesi tassative di deroga del divieto di licenziamento contemplate dall’art. 35, comma 5, del d.lgs n. 198 del 2006, quella di cui alla lett. b), relativa alla “cessazione dell’attività dell’azienda cui la lavoratrice è addetta”; non è assimilabile alle ragioni di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale idonee a determinare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, fermo restando che, ove ricorra l’ipotesi della deroga, nessun onere grava sulla lavoratrice diretto a dimostrare l’esistenza di una residua possibilità occupazionale all’interno dell’azienda» (V. Cass. civ., sez. lav., 19 settembre 2016, n. 18325).
Il Tribunale, quindi, dichiarava la nullità del licenziamento intimato perché dagli atti di causa non era emersa una “cessazione dell’attività aziendale” ovvero la cessazione di un reparto o di un settore del tutto autonomo; bensì era emersa soltanto una mera riorganizzazione interna.
Quali conseguenze della nullità, il datore di lavoro veniva condannato a reintegrare la ricorrente ed a pagare un’indennità pari all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per il periodo dalla data del licenziamento alla effettiva reintegrazione, oltre interessi, rivalutazione monetaria e contributi previdenziali ed assistenziali per il medesimo periodo.
avv. Nicola A. Maggio
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