Scontro sindacati-Confindustria: 14 milioni in attesa del rinnovo contrattuale
Da una parte i sindacati chiedono aumenti consistenti sui minimi, dall’altra Confindustria si attiene alle regole stabilite nel Patto della Fabbrica. Nel frattempo 14 milioni di lavoratori sono in attesa del rinnovo contrattuale.
Il Covid ha costretto la società a rimandare diverse deadline, soprattutto nel mondo del lavoro dove, secondo il segretario generale aggiunto della Cisl, Luigi Sbarra, ci sono oltre 14 milioni di persone che aspettano l’esito delle negoziazioni dei contratti collettivi nazionali. Il tema è delicato: i principali sindacati puntano a rinnovare i contratti il prima possibile preservando tutele e competitività ma concentrando le richieste sull’aumento dei minimi.
Nel reparto della meccanica viene domandato un aumento del salario pari all’8% sui minimi contrattuali per il periodo 2020-2022, un livello che sarebbe di molto superiore rispetto all’indicizzazione secondo l’Ipca. In generale i sindacati hanno richiesto aumenti superiori ai 100 euro praticamente in tutti i settori: 125€ per la ceramica, che conta 25mila impiegati, 100€ per la gomma plastica (130mila addetti), mentre per il reparto moda che comprende tessili (400mila addetti), occhialeria (20mila), pelli e ombrelli (40mila), calzaturieri (80mila), la richiesta è un aumento sui minimi di 115€ oltre a incrementi su previdenza e sanità.
Dall’altra parte della barricata Confindustria ribadisce come la rinegoziazione dei contratti deve avvenire dentro il quadro definito dal Patto della fabbrica, sottolineando come il trattamento economico minimo debba essere indicizzato secondo l’Ipca. Lo scontro tra sindacati e Confindustria ha portato quest’ultima a ribadire l’impegno dell’associazione nel cooperare per raggiungere un accordo: «Abbiamo tutti firmato un accordo interconfederale nel 2018 che fissa impegnativamente le coordinate di relazioni industriali ispirate alla cooperazione e non alla conflittualità e all’antagonismo. Oggi più che mai valgono quegli impegni comuni che consideriamo fondamentali per sottoscrivere contratti che mettano al centro la competitività e la retribuzione di merito, insieme al diritto alla sicurezza, alla formazione, e al welfare integrativo aziendale».
Nel mezzo della tempesta, i nuovi dati Istat delineano uno scenario strutturale poco incoraggiante. Nel triennio 2019-2021 le imprese italiane prevedono infatti una crescita di addetti soprattutto nelle mansioni tecnico-operative e manuali non specializzate. Parallelamente è previsto un calo deciso nelle mansioni manuali e professionali specializzate. Un dinamica che inevitabilmente avrà ricadute sulla qualità del lavoro, sui salari, sulla produttività e sui livelli di innovazione delle imprese.