Sul tavolo diverse ipotesi per riformare il sistema pensionistico. Venerdì incontro governo-sindacati.
Venerdì 25 settembre è stato fissato un incontro tra governo e sindacati per cominciare a delineare il percorso che porterà alla rimodulazione del sistema pensionistico nel 2021. Si tratta appunto di una maratona e non di uno sprint dal momento che Palazzo Chigi ha assicurato alla Commissione Europea che l’anno prossimo metterà mano alle pensioni.
Nel frattempo si cominciano ad esplorare diverse ipotesi. L’obiettivo è giungere ad un impianto meno rigido e soprattutto sostenibile nel medio periodo dal momento che le pensioni si mangiano buona parte della capacità di spesa centrale. Si parla dunque di implementare un meccanismo che garantisca una “doppia flessibilità in uscita”. L’idea di fondo è differenziare i trattamenti: da una parte si permetterebbe a coloro che hanno svolto lavori gravosi e usuranti di andare in pensione tra i 62 e i 63 anni nel momento in cui è corrisposto il target di 36 o 37 anni di contributi. In questo caso l’intento è quello di evitare eccessive penalizzazioni ed eventualmente poter ricorrere all’Ape sociale.
Dall’altra parte invece, per il resto dei lavoratori verrebbe fissata una soglia minima di uscita a 64 anni e 38 di contributi ma con diverse penalità in base agli anni anticipati dal limite di vecchiaia che al momento è 67 anni. Nonostante i sindacati insistano per un’opzione generale che prevede l’inizio del trattamento pensionistico dopo 41 anni di contributi, al momento le due parti ricercano attivamente il dialogo.
Simone Fausti