Lavoro autonomo in Italia: tra i giovani solo il 13,6%
Tra il 2010 e il 2019 i governi hanno adottato politiche quasi sempre finalizzate al sostegno del lavoro dipendente e senza puntare al ricambio generazionale, scoraggiando fortemente la volontà di mettersi in proprio
Le nuove restrizioni alle attività produttive, recenti e future, nazionali e locali, provocheranno altre chiusure di esercizi commerciali, di piccole imprese e disincentiveranno numerosi soggetti privati ad intraprendere una propria attività. Questo significa che l’occupazione diminuirà ancora e di conseguenza, anche le entrate per lo Stato, generando un circolo vizioso da cui si potrà uscire solo alla fine della pandemia.
La Cgia di Mestre stima in 160 miliardi il rischio di ricchezza perduta quest’anno.
La Fondazione dei consulenti del Lavoro evidenzia come su 841 mila posti di lavoro persi tra il secondo trimestre 2020 e lo stesso periodo dell’anno precedente, 219 mila riguardano il lavoro autonomo, registrando un calo del 4,1%.
Degli autonomi che si sono salvati, 8 su 10 hanno registrato un calo significativo delle loro entrate, che in un terzo dei casi ammonta a più della metà del reddito familiare.
La Fondazione rivolge all’esecutivo un messaggio chiaro: tra il 2010 e il 2019 i governi hanno adottato politiche quasi sempre finalizzate al sostegno del posto e senza puntare al ricambio generazionale, scoraggiando fortemente la volontà di mettersi in proprio.
Questa tendenza trova riscontro nei dati. Nel 2010 il 25,3% degli occupati svolgeva un lavoro autonomo, mentre oggi la percentuale scende al 22,7% e cala drasticamente tra i giovani (13,6%).
A soffrire maggiormente sono i piccoli imprenditori del commercio (71.000 addetti in meno) e del turismo, ma anche le professioni intellettuali ad elevata qualificazione e quelle tecniche.
Gli altri settori in cui il lavoro autonomo è diminuito riguardano la filiera dei servizi alle imprese, il ramo bancario ed assicurativo, la comunicazione e la formazione.
Andrea Curcio