C’era una volta un venditore professionista che, durante un corso di vendita, di fronte ad una platea di principianti, chiese: “è più bravo un venditore esperto o un ladro?”
“Domanda troppo generica”, rispose qualcuno dal pubblico a voce alta. “Ci dica almeno cosa devono vendere entrambi”, aggiunse qualcun’altro. “Un comune bicchiere di vetro”, rispose con semplicità il relatore. Seguì il silenzio. Uno dei più grandi silenzi di quella giornata di formazione. Nessuno pareva saper rispondere. Nessuno. Per almeno due minuti non volò una mosca. Poi qualcuno cominciò a dire, “sicuramente sarà più bravo il venditore. Ha il metodo dalla sua”. Qualcun’altro gli fece eco, “vero, il metodo vince su tutto”. Il relatore, divertito, insistette: “anche il ladro ha metodo”: E lì, la platea ripiombò in un silenzio senza precedenti. Solo a quel punto il relatore, soddisfatto e sorridente, spiegò: “il venditore possiede il bicchiere che deve vendere. Parlerà delle sue proprietà. Eccelse, s’intende. Il rischio di dedicare troppo tempo al prodotto e poco al cliente è molto elevato. Il ladro vuole vendere il medesimo bicchiere. Ma il bicchiere non ce l’ha. Il rischio di destinare tempo al prodotto è molto limitato. Il ladro si applicherà, più facilmente, sfruttando le proprie capacità empatiche“.
Ecco, l’empatia. L’empatia vince su tutto. Il metodo rimane indispensabile e va aggiornato, ma l’empatia vince. Chiaro. Chiarissimo. Ciò non significa che da domani dobbiamo diventare tutti ladri. Nemmeno se fossimo gentiluomini come Arsenio Lupin. Tuttavia è venuto il momento di riflettere sull’effettivo ruolo dell’empatia nel mondo del lavoro. E non certo perché lo dice Google (quello era un titolo, spero, accattivante). Piuttosto perché il lavoro, come dico spesso, non si dovrebbe mai sostanziare di episodi occasionali. Il lavoro dovrebbe essere costruito sulla base di relazioni, diventare un percorso, longevo, proficuo e con benefici per tutti. E quando parlo di relazioni non mi riferisco meramente a quella dannata abitudine di verificare il proprio portfolio clienti, per sapere a quali porte bussare. Intendo la capacità di essere così empatici, appunto, da riuscire a consolidare un rapporto umano e fiducioso sin dai primi incontri. Facile a dirsi. Più difficile a farsi. Ma anche l’empatia può essere allenata. E garantisce ottimi risultati. Fidatevi.
Nel nostro lavoro (www.corefab.it) l’empatia è fondamentale come in qualunque altro. Avere a che fare con persone coinvolte in attività di team building e progetti di formazione, sicuramente aiuta. Ma l’empatia non è un privilegio riservato a chi fa un lavoro “divertente”. E nemmeno una necessità per soli venditori. L’empatia è quella cosa che si ricerca nei rapporti interpersonali e che dovrebbe caratterizzare qualunque approccio. Uno dei suoi capisaldi? L’ascolto. Non interrompere chi ci racconta di sé. Siate curiosi delle storie altrui. Non concentratevi sul vostro “bicchiere” (vedi sopra); osservate gli altri. Un altro? L’umiltà. Siamo tutti sullo stesso piano. Come se fossimo satelliti che gravitano intorno alle aziende o intorno a dei leader (umili primus inter pares, s’intende), ognuno alla propria velocità, ma con ampia e disponibilità alla collaborazione. E quindi, per fare squadra, cerchiamo di condividere anche le necessità, così da creare un tessuto condiviso. Un posto dove siamo tutti simili ed indispensabili.
Insomma, che lo dica Google o Arsenio Lupin, l’empatia è la skill del futuro. Ma anche quella del presente e quella del passato. Qualcuno addirittura la paragona ad un muscolo che, come tale, va allenato. Esercitandosi sul contesto tra le altre cose: ricordando che non siamo soli e che qualunque confronto, qualunque esperienza, può aiutarci a potenziarla. Sempre. Quindi, siate empatici. E come dice qualcuno: praticate al contempo la gentilezza. Lupin, fino a prova contraria, era (anche) un gentiluomo.
Marco Menoncello
www.corefab.it