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    Intelligenza artificiale e impresa: miti e leggende da sfatare

    Intelligenza artificiale e impresa: miti e leggende da sfatare
    L’intelligenza artificiale sta prendendo sempre più piede nell’automatizzazione di determinati processi aziendali, ma sono soprattutto le “big enterprises” a farne ricorso. Rimane ancora una certa diffidenza da parte delle PMI a guardare a questi sistemi come delle reali opportunità per dare una svolta al loro business. È un problema di conoscenza? Quanto influisce la “narrazione” mainstream sull’AI nelle scelte degli imprenditori? Abbiamo provato a sfatare miti e leggende metropolitane sull’intelligenza artificiale con Sandro Parisi, ceo e co-founder di Eudata, società leader nell’ambito dell’AI applicata alla customer experience.
    C’è una certa diffidenza sull’intelligenza artificiale legata alla narrazione, la principale è quella che ritiene la macchina più intelligente dell’uomo in grado, col tempo, di arrivare a sostituirlo nelle sue attività. Cominciamo a sfatare questo mito.
    Partiamo dal presupposto che la macchina è sempre una macchina. A proposito di intelligenza artificiale mi piace richiamare una frase di un caro amico che se ne occupa in modo estremamente approfondito: “La macchina si può programmare, fino ad oggi abbiamo programmato la macchina in un certo modo, l’intelligenza artificiale è un diverso modo con cui programmarla. Quindi non si tratta di una vera intelligenza, bensì di un modo con cui un sistema software simula alcune reazioni o comportamenti che sono propri della sfera umana, ma la capacità di riflessione non è ancora stata tracciata.
    Eppure qualcuno ci sta lavorando. Dove si definisce la distanza tra l’uomo e la macchina?
    Circa cinque anni fa ho incontrato in Silicon Valley il fisico Faggin, che ha compiuto studi enormi sul tema delle differenze tra macchina e uomo, e a quell’epoca stava teorizzando con un progetto di ricerca l’algoritmo della consapevolezza, partendo dal presupposto che sia questa la vera distanza che c’è tra un uomo e una macchina. La macchina è cento volte più veloce, può analizzare tantissimi dati e immagazzinarne altrettanti, non sbaglia, ma non è consapevole di ciò che fa. Insieme al gruppo di ricerca che aveva creato, voleva quindi capire se fosse possibile teorizzare un algoritmo legato alla consapevolezza. E il suo studio ha concluso che quest’operazione non è possibile. La distanza maggiore rimane perciò questa, finché una macchina non sarà consapevole difficilmente potrà sostituire realmente un uomo, può sostituire un processo e può farlo molto più velocemente e su numeri molto più ampi rispetto a quanto possa fare una persona. Quindi le persone rimarranno legate a tutte le componenti a valore tipiche della sfera umana.
    C’è poi chi ritiene che l’intelligenza artificiale abbia “poteri predittivi” sul futuro, in forza del fatto che i sistemi si basano su modelli statistici e matematici che vengono utilizzati per fare previsioni. Su questo cosa ci può dire?
    Proviamo a vedere la cosa in modo un po’ diverso. L’intelligenza artificiale può cercare di mutuare tutto ciò che la statistica permette di fare compatibilmente con i dati a disposizione. Quindi ci sono due limiti: uno è la statistica e uno sono i dati. Facciamo un esempio a partire dal secondo: se un motore di ricerca ha a disposizione tutti i dati di ricerca del mondo, quindi miliardi di informazioni, può utilizzarli per fare clusterizzazione e, avendotalmente tante sfaccettature, può intercettare i gusti delle persone. Qui poi interviene il limite etico che stabilisce un confine nel fare attività di profilazione, che altrimenti sarebbe molto vasta. Questoperò non significa predire il futuro ma applicare degli algoritmi sulla base dei dati disponibili, cosa totalmente diversa. Le predizioni statistiche sono principalmente legate a finalità dibusiness e anche qui c’è un dibattito etico che riguarda tutta una serie di indicazioni che devono essere tenute sotto controllo.
    C’è l’esigenza di trovare una giusta mediazione tra l’innovazione tecnologica e i diritti. Come impatta nel settore di vostra competenza?
    Esistono delle indicazioni macro in ambito etico per quanto attiene all’applicazione dell’intelligenza artificiale come, ad esempio, non fare distinzioni di razza o il rispetto di genere, e questo nel mio settore ha degli impatti. Qualsiasi sistema di intelligenza artificiale, ad oggi, non può lavorare nel mio ambitose dietro non ha una logica di supervisione. Non è ammissibile che un sistema di AI possa dare una risposta che io non governo, perché sarebbe illogico sia dal punto di vista di modello che di percorso. In un qualsiasi processo di una grande azienda, il brand è fondamentale e non si può lasciare ad una macchina la decisione di cosa comunicare al cliente o al dipendente senza averne il controllo.
    Nella sua esperienza con i clienti, che percezione c’è rispetto all’AI?
    Mi è capitato spesso di interfacciarmi sia con manager di grandi aziende che con amministratori delegati di aziende locali e verificare che la conoscenza in materia di intelligenza artificiale è legata ancora a concetti più vicini alla fantascienza. Qui è un lavoro duro perché si tratta di spiegare, anche passo passo, qual è la realtà delle cose. Noi abbiamo un approccio molto etico che consiste nel rendere nota la fattibilità dei progetti e dare un reale target al cliente, cioè dirgli fino a che punto si può effettivamente arrivare. Con le PMI, più lontane rispetto alle “big enterprises” dall’utilizzo di AI nel loro business, è stato impressionante vedere il valore che hanno acquisito una volta sgombrato il campo dalle fantasie legate all’intelligenza artificiale. Hanno compreso quanto fosse rilevante, ai fini di business, organizzare in maniera formale e strutturata la propria competenza all’interno di un sistema. La concretezza li ha stupiti, ma siamo ancora molto lontani dall’avere una diffusione così ampia di conoscenza di quello che si può fare.
    Quindi è un problema di conoscenza?
    Anche, ma lo vedo più come un problema etico. Da un lato c’è la grande guerra di competizione e di mercato, che tutti devono fronteggiare, però un conto è utilizzare la tattica dell’ over selling” e aggiungere una funzionalità che non ho in corso d’opera, altro è promettere un punto di arrivo che non è prevedibile quando sarà realizzabile, tipico di alcuni big players del settore che fanno del marketing, più che della tecnologia, la loro forza. Recenti statistiche su dati del 2020 hanno documentato che su 100 progetti di intelligenza artificiale, 60 falliscono e, di quei 40 che vanno avanti, probabilmente 30 non raggiungono gli obiettivi che si erano prefissati. È un mondo ancora molto immaturo che evolve rapidamente, ma chi lo conosce da dentro sa che ci sono dei limiti strutturali tecnologici che impediscono di realizzare determinati progetti. È una bella sfida che ci vedrà impegnati per il futuro.
    Micol Mulè

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