Come sta l’agricoltura Italiana? Per L’Istat non benissimo. Come riporta il comunicato stampa del 21 Gennaio Sull’andamento del 2019:
“Nel 2019 la produzione dell’agricoltura si è ridotta dell’1,3% in volume. Il valore aggiunto lordo ai prezzi di base è sceso del 2,7% in volume e le unità di lavoro sono diminuite dello 0,1%.
Vistoso è stato il calo per il vino (-12,0%) mentre un buon recupero si è avuto per l’olio di oliva (+32,0%). Diminuzioni rilevanti anche per frutta (-3%) e cereali (-2,6%) mentre è proseguito il trend positivo delle attività secondarie (+1,3%) e delle attività dei servizi (+0,4%)”.
A cosa è dovuto questo calo? A fattori strutturali perlopiù. Ne abbiamo parlato con Pietro Zappamiglio, sindaco di Gorla Maggiore (VA), imprenditore.
Che aria tira sul territorio per il settore Agricolo?
Domenica scorsa ero a pranzo con sessanta agricoltori. La sensazione è quella di grandi potenzialità, nascoste sotto una valanga di burocrazia e senza un orizzonte chiaro davanti. L’agricoltura che vive e vince è quella organizzata, protesa al futuro e pronta all’export. Quella piccola, meno strutturata e senza grande organizzazione si scontra sempre più con fattori che non riesce a superare. Basta considerare un dato: le ULA (unità lavorative anno) da lavoro dipendente sono la metà di quelle da lavoro autonomo. Il che non è un male, sia chiaro, ma richiede al legislatore un’attenzione che manca.
In particolare in che ambito?
Il ricambio generazionale. Se gli imprenditori non tornano alla terra, questa muore. Non si tratta di costringere né di incentivare, solo di permettere: l’interesse c’è. Ma l’attività non può essere per i sei decimi di burocrazia e per i restanti quattro di attività sul campo. Questo è un problema generale di tutti gli imprenditori, soprattutto piccoli, ma in questo settore è esacerbato.
Gli scenari internazionali non aiutano…
Per fortuna l’Italia ha superato l’esame USA e non subirà un ulteriore round di penalizzazioni, quelle precedenti, come nei dati che avete riportato, sono stati una mazzata. Però non dobbiamo scoraggiarci, la nostra agricoltura di qualità è votata all’export e parliamo pur sempre di un settore da 56 miliardi l’anno di fatturato. Possiamo farcela, ma abbiamo bisogno di una mano.
Quale sarebbe la prima cosa su cui puntare?
Un aiuto sostanziale ai giovani che iniziano. Ricordo che il governo Berlusconi nel 2008 creò un regime dei superminimi che aiutava davvero chi voleva iniziava (5% di tassazione e 15/30 mila euro di detrazioni). Forse dovremmo fare di più nel ramo della previdenza, che oggi è la parte più onerosa per chi fa impresa. In ogni caso, il principio è chiaro: il giovane che apre un’impresa agricola non è né una tigre di cui avere terrore, né una mucca da mungere. È un forte cavallo con un grande peso da portare. Torniamo a rispettarlo e l’agricoltura ripartirà!
Luca Rampazzo