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    Non esistono pasti gratis, Presidente

    Non esistono pasti gratis, Presidente

    Mario Draghi è sicuramente un Presidente del Consiglio di grande abilità. Esserlo non lo rende automaticamente infallibile. Tra le cose che, con massima umiltà, mi permetto di contestare c’è l’affermazione che il principio di base del Reddito di Cittadinanza sia giusto. Con il dovuto rispetto, Presidente, Lei sbaglia. Il principio che lo Stato abbia l’obbligo di fornire un reddito a tutti non è un principio giusto, sostenibile o anche solo razionale. E per dimostrarlo dobbiamo partire dalle radici.

    Lo Stato, come diceva Margareth Thatcher, non ha denaro proprio. Quindi affermare che abbia il dovere di mantenere tutti equivale ad affermare che ognuno di noi è tenuto a lavorare alcune ore al giorno per chi non intende farlo. Sembrano ovvietà, ma non lo sono. Il nostro paese ha un problema di percezione quando si nomina lo Stato. Viene percepito come una misteriosa entità terza che vive di risorse esterne (Europa/moneta sovrana/tesori nascosti e mirabolanti in oscuri depositi bancari anonimi/evasione fiscale di pochi ricchissimi e cattivissimi miliardari). Ma non c’è nessun trucco. E se si vuole un dibattito franco e aperto è opportuno squarciare il velo dell’ipocrisia. È giusto lavorare tutti di più per mantenere una platea potenzialmente indefinita di soggetti?

    La radice del problema cambia, quindi. E diventa: abbiamo il diritto di essere mantenuti? Chi risponde di sì afferma che il cambio dei mezzi di produzione elimina posti di lavoro e quindi i disoccupati vanno risarciti. E mantenuti dai robot che li sostituiscono. Non è una motivazione nuova. Il precedente più noto è il movimento Luddista, nato l’11 marzo 1811. La storia ci ha dimostrato chiaramente che le macchine non distruggono posti di lavoro, li cambiano solamente. Spiace che non ci siano più lampionai (un lavoro che da piccolo ho considerato seriamente finché non mi hanno spiegato che ero nato con un secolo di ritardo), ma non è stato certo creato un buco perenne di lavoro. In altre parole, la luce elettrica non ha distrutto posti di lavoro. Li ha solo modificati. Quindi no, la rivoluzione robotica, che non esiste, ma fingiamo il contrario, non costringerà un blocco di lavoratori alla perenne disoccupazione.

    L’altra cosa che non esiste è la categoria delle persone sane non impiegabili. È una visione figlia di un paternalismo di ritorno che è, in nuce, una forma sottile di predestinazione sociale. Il ragionamento è che, purtroppo, per ragioni biologiche o sociali, il destino cinico e baro ha condannato alcuni individui a non poter trovare lavoro. Lo ripeto per evitare attacchi fuori contesto: si parla di persone sane. Abili al lavoro. Il discorso su persone con disabilità e lavoro è più ampio e va affrontato a parte. Questa idea è fattualmente infondata. Quando si vanno ad analizzare i casi pratici vediamo vite sicuramente difficili. Certamente costellate di incidenti, errori e scelte sbagliate. Ma, e questo è il punto, qual è il messaggio che vogliamo dare? Che ogni scelta sbagliata dell’individuo deve essere pagata dalla collettività? Questo non né un valore, è un inno all’irresponsabilità collettiva.

    Allora, di cosa stiamo parlando? Di una misura sbagliata proprio nel concetto. Ovvero che tutti, nessuno escluso, vantino un diritto ad essere mantenuti. Semplicemente alcuni, scegliendo di arricchirsi, non esercitano. La vedete la trappola? Chi lavora è avido. E deve scontare questo suo gravissimo vizio. Come? Pagando chi sceglie il virtuoso stato di natura, la decrescita felice. Esisteranno sempre, pensano alcuni, degli avidi. E quindi gli altri, i sacerdoti filosofi, i predestinati, potranno venire comunque mantenuti.

    È una visione moderna e molto fantasiosa di un pensiero antico. Peraltro, comune a mondo socialista e liberale, visto che era stata teorizzata anche da Milton Friedman. Per quanto, va detto, che la visione della Scuola di Chicago prevedeva di far pagare tutto il resto, scuola, sanità, assicurazione infortuni. Quindi sì, la situazione era diversa. E soprattutto non parlava di diritto, ma di pace sociale. In ogni caso, ammettiamo pure sia la stessa cosa con nome diverso. Questa misura nel concreto può funzionare?

    Ovviamente no. I controlli sono difficili, le frodi frequenti e le politiche di inserimento nel mondo lavorativo l’ennesimo fallimento annunciato. Quindi, per riassumere, il principio di base è infondato e predatorio, non promuove l’uscita dalla dipendenza o dalla povertà e finisce per beneficiare territori ipersussidiati a scapito dei contribuenti netti del sistema. Detta senza fronzoli: è l’ennesimo tentativo di salvare i poveri dando loro altri aiuti di stato. Questo non ha funzionato mai, in nessun paese e sotto nessuna condizione. Al massimo ha consentito di arrivare allo stesso punto che il paese in questione avrebbe raggiunto comunque. Solo più lentamente ed economicamente in maniera peggiore. Vale ricordare che gli anni del boom economico videro una politica fiscalmente responsabile. Quelli del declino un boom dello stato sociale. Seguito da un boom del debito. E terminati con un circolo vizioso che brucia capacità produttiva e produce sempre più povertà.

    Allora che fare? Tagliare la spesa pubblica. Non esiste una ricetta più morale, efficiente e funzionante. Dirlo oggi è eresia. Dirlo al Presidente che ai tempi della BCE rese la spesa pubblica e il conseguente indebitamente sempre più facile, è probabilmente inutile. Tanto che lui è stato il primo a dire che non è tempo di tagliare. Sappiamo tutti che questo tempo non verrà mai. Perché farlo significherebbe ridare dignità al principio di sussidiarietà. E quindi a quella responsabilità verso il prossimo insita nel concetto di libertà. Libertà che, come abbiamo visto in questo anno e mezzo, fa davvero paura. E a volte a ragione, sia chiaro. Ma la paura non dovrebbe impedirci di fare la scelta giusta per la nazione. Vale per i vaccini, vale per il taglio dei sussidi che non aiutano ma creano solo dipendenza.

    Ad esempio, e con questo chiudo, il Reddito di Cittadinanza. Che, se nella pratica può forse essere migliorato, alla base resta e sempre resterà una ingiusta spoliazione di chi lavora a vantaggio di una platea su cui il lavoratore non ha controllo alcuno.

    Luca Rampazzo

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