Cina: stop alle criptovalute
Cosa sta succedendo all’economia cinese? E soprattutto, l’economia mondiale deve preoccuparsi?
La Cina dopo la conversione al capitalismo, seppur sempre accompagnata dall’ideologia comunista, si è imposta come uno dei colossi mondiali dell’economia, grazie a un mercato interno formidabile, bassi costi del lavoro, forte controllo centrale, garantendosi tassi di crescita e quote di mercato sempre più dominanti. Ma, sappiamo, le scorciatoie non sempre portano alla meta desiderata.
Mentre i mercati finanziari sono alle prese con l’affaire Evergrande, il colosso immobiliare dai piedi di argilla, un altro provvedimento recente del governo di Pechino è destinato a produrre ulteriori scossoni sul mercato globale.
E’ di questi giorni la notizia che la Cina ha messo al bando i bitcoin, le criptovalute online, vietando tutte le transazioni e dichiarando illegali le attività finanziarie che viaggiano sulla rete.
Si chiude quindi, anche l’ultima finestra rimasta aperta per gli investitori online cinesi che finora potevano appoggiarsi ad operatori (exchange) stranieri per lo scambio di valute virtuali.
Finisce l’era della valuta digitale in contrapposizione a quella ufficiale, segnando un ulteriore passo verso una politica protezionistica e autoreferente.
La domanda che ci si pone è legata ai rischi che attendono gli investitori di questa particolare frangia finanziaria in forte espansione in tutto il mondo.
L’annuncio ha provocato un brusco ridimensionamento delle quotazioni del bitcoin, crollato dai 45mila dollari di metà giornata attorno a 41.600, con una flessione superiore al 10% su 24 ore prima e l’intero listino delle criptovalute ha accusato un duro colpo, con una perdita di oltre 1.000 miliardi dalle quotazioni registrate ad aprile.
Già a maggio il governo cinese con l’appoggio della Banca centrale aveva fortemente limitato gli scambi, bloccando trading e mining e soprattutto vietando la creazione di piazze virtuali cinesi, ragion per cui gli operatori cinesi si appoggiavano a piattaforme estere.
La stretta finale pone il divieto di autorizzare pagamenti e transazioni in criptovalute.
Tale misura, prima di dire se sia un bene o un male nel lungo termine, è in stretta connessione con le difficoltà finanziarie che anche i colossi nazionali dell’hi-tech stanno attraversando, costretti a pericolose esposizioni finanziarie verso operatori stranieri e dunque fuori dallo stretto controllo governativo cinese.
Proprio nel paese dove la criptovaluta stava prendendo maggiormente spazio, con volumi sempre più significativi di transazioni, arriva questo brusco stop, palesando la volontà politica del governo cinese di voler creare una economia di mercato ma senza concedere libertà di impresa, ribadendo la centralità della politica degli eredi di Mao anche rispetto al capitale privato, termine mai digerito dai papaveri cinesi.
Logica conseguenza è stato il crollo del Bitcoin lo scorso giugno, generato proprio da un divieto preliminare delle banche locali e delle piattaforme di pagamento per non favorire i clienti nelle transazioni in criptovaluta.
Il Governo cinese reprimerà in modo risoluto la speculazione sulla valuta virtuale, le relative attività finanziarie e i comportamenti scorretti al fine di proteggere le proprietà delle persone e mantenere l’ordine economico, finanziario e sociale: così recita il comunicato ufficiale della Banca centrale cinese subito dopo l’approvazione delle misure restrittive imposte dal governo.
La motivazione addotta dall’establishment politico si basa sul fatto che le criptovalute rappresentino un pericolo per la popolazione e per i loro risparmi, un investimento volatile e speculativo, addirittura in certi casi un modo per riciclare denaro sporco.
La situazione cambia, dal momento che commercializzare criptovalute è diventato un reato.
Il disastro è annunciato, non solo per gli addetti ai lavori, cioè le società di trading on line, ma anche per l’economia reale, visto che l’impatto andrà a colpire direttamente i colossi della tecnologia e dell’energia, settore fortemente legato alle criptovalute.
Resta ora da vedere se questa scelta unilaterale della Cina, uno dei principali snodi di bitcoin, avrà effetto anche sul resto del mondo on line, tenendo conto che il fenomeno delle criptovalute ha una componente finanziaria fortemente volatile e ben sappiamo i danni che le bolle speculative possono provocare. Se associamo a questo elemento la crisi di Evergrande e la grande fragilità sociale di un paese che non brilla per il godimento di diritti individuali (salario, garanzie previdenziali, pensione) c’è da aspettarsi l’avvento di una stagione di forti contestazioni che, come il passato insegna, non sempre finiscono con la vittoria dei giusti.
Pietro Broccanello