L’Europa fra Atene e Gerusalemme di papa Ratzinger
Flavio Felice
“Avvenire”, 13 ottobre 2021
Il volume “La vera Europa: identità e missione” (a cura di Pierluca Azzaro e Carlos Granados, Catagalli, 2021) raccoglie alcuni dei più significativi interventi di Joseph Ratzinger sull’idea di Europa dal 1979 al 2012, con prefazione di Papa Francesco. Il libro si caratterizza per una molteplicità di questioni, tutte riconducibili ad una tesi tutt’altro che scontata nell’odierno dibattito cattolico: «L’Europa si deve fondare sul riconoscimento e la tutela della libertà di coscienza, dei diritti umani, della libertà della scienza e quindi su una società umana liberale».
Il metodo seguito è di tipo “antinomico”, piuttosto che sintetico, metabolizzando la tradizione di un certo agostinismo, tra i cui eredi, in epoca contemporanea, sul fronte della teoria politica, non possiamo non ricordare Luigi Sturzo. Il sacerdote calatino ricorre alla categoria del “concreto” come esito del confliggere del “naturale” con il “sovrannaturale”; una “dualità” che può condurre ad un “dualismo” in cui una parte assorbe l’altra, ovvero ad una “diarchia” che non si risolve nel primato di alcuno; è questo processo che Sturzo nel 1943 chiamerà “La vera vita”, facendo idealmente il paio con il titolo del libro di Ratzinger: “La vera Europa”.
Negli Atti degli Apostoli (16,6-10) è narrato che Paolo è missionario in Asia Minore, e non pensa affatto di oltrepassare lo stretto che lo separa dall’Europa. La nuova direzione gli si rivela in sogno: Paolo vede un macedone che lo chiama e lo prega: “Vieni qui ad aiutarci!”. Il macedone sta per la Grecia, per l’Europa; commenta Ratzinger: “la sua preghiera decide la storia futura. Così è nata l’Europa, […] una ragione che […] nel percepire una mancanza intuisce ciò di cui ha bisogno”.
La correlazione stabilita da Ratzinger tra Atene e Gerusalemme esprime la matrice di una cultura politica che, così come non risolve la fede nella ragione e viceversa, non ci consente di risolvere il dominio dell’autorità politica sull’autorità religiosa e quest’ultima su quella temporale; è questo il tema ben descritto da Pierre Manent attraverso l’efficace formula: “problema teologico-politico”.
La matrice culturale tipicamente europea, afferma Ratzinger, ci consente di concepire la dialettica “stato-chiesa”, nella logica della distinzione e reciproca influenza che contempla anche l’interferenza. In questo modo, Ratzinger ammonisce che come cristiani dovremmo fuggire dalla tentazione teocratica, vaneggiando un dominio della Chiesa sullo Stato, potendo esprimere invece il più efficace antidoto contro l’esito totalitario. Si tratta del rifiuto di ogni possibile soluzione politica di tipo “confessionale”, tanto nella rappresentazione teocratica quanto in quella laica, consapevoli che nutriremo la nostra libertà solo negando all’autorità politica di vantare una propria “ragione”: la “ragion di Stato”, a favore di una “ragionevolezza” dell’azione politica, la cui misura possa essere perimetrata nell’orbita dell’umano, piuttosto che dello Stato.
Dunque, “che cosa ha a che fare la fede cristiana con l’Europa?” Ratzinger invita ad andare alle radici dell’esperimento democratico, mutuando da Platone la nozione di “eunomia”, legando la democrazia al diritto. In tal senso, in ottemperanza alla tradizione del “rule of law”, il processo democratico viene reinterpretato alla luce della “validità del buon diritto”.
Ratzinger stabilisce un nesso inscindibile tra democrazia come “eunomia” e Europa, non in quanto provincia del mondo, dimensione statica di una identità geopolitica, bensì idea che si snoda nel corso della storia, un’identità dinamica e processuale. In breve, l’identità di una provincia del mondo, la cui storia testimonia come tante idee, passando per vette e abissi, siano potute riemergere dall’inferno dei totalitarismi, generati dal proprio ventre.
Espressione di tale corrispondenza è il lento emergere di un regime politico che ha sviluppato sistemi di limitazione, di controllo e di trasparenza del potere, distinguendo tra “forza”, “potere” e “autorità”. La “forza” è la capacità di disporre della propria volontà; il “potere” stabilisce la capacità di disporre della volontà altrui; l’“autorità” indica la legittimità dell’esercizio del potere, che è tale solo quando è limitato, controllato e trasparente. L’aver distinto tra “forza”, “potere” e “autorità” consente di reinterpretare la nozione di democrazia, ricercando il suo valore intrinseco e “universale” nelle forme di controllo del potere e di limite al suo esercizio.
Ratzinger ci ricorda che compito del cristiano in politica non è “di innalzare il ‘regno’”, ma di andargli incontro “con l’opera della giustizia e dell’amore”. In breve, edificare istituzioni che favoriscano il possibile consenso sul legittimo dissenso, una definizione di democrazia che ci metta al riparo dalla tentazione del serpente di voler prendere il posto di Dio.