Termina il blocco dei licenziamenti: cosa succede ora?
Il blocco dei licenziamenti è terminato il 31 ottobre anche per il settore terziario, le piccole imprese, l’artigianato e alcuni reparti dell’industria, ovvero per il tessile, l’abbigliamento e la pelletteria.
Ricordiamo che il blocco era entrato in vigore dal febbraio 2020 a causa dell’emergenza Covid per ridurne l’impatto sociale, impedendo ai datori di lavoro di recedere dal contratto anche per giustificato motivo oggettivo, oltre ad impedire i licenziamenti collettivi.
In realtà nell’edilizia e nella manifattura, per i circa 4 milioni di lavoratori assunti a tempo indeterminato, il blocco era già terminato lo scorso 30 giugno, tuttavia non si è riscontrato nessun impatto rilevante sull’andamento delle cessazioni.
Bisogna aggiungere però che la fine del blocco dei licenziamenti è stata accompagnata dalla proroga, decisa da parte del governo nel decreto legge fiscale, della cassa integrazione Covid. I datori di lavoro che ne fanno uso non possono licenziare i dipendenti, salvo accordi collettivi raggiunti coi sindacati maggiormente rappresentativi, o casi-limite oggettivi come la cessazione definitiva d’attività d’impresa o la messa in liquidazione.
L’utilizzo della cassa Covid è concesso nel periodo compreso tra il 1 ottobre e il 31 dicembre, a condizioni diverse per i rispettivi settori lavorativi: massimo 13 settimane per le piccole imprese del terziario, del commercio, gli artigiani e i giornalisti, a patto che siano passate le 28 settimane dalla precedente proroga; massimo 9 settimane per il tessile, l’abbigliamento e la pelletteria, purchè abbiano esaurito le 17 settimane precedenti.
Per quanto riguarda l’impatto della fine del blocco del 30 giugno sull’edilizia e sull’industria, è sufficiente riferirsi ai dati delle comunicazioni obbligatorie. Secondo quanto riportato dall’osservatorio Banca d’Italia-Ministero del Lavoro, il numero di cessazioni di rapporti lavorativi si è mantenuto su numeri piuttosto modesti e comunque non sopra la media, anche rispetto alla situazione precedente all’entrata in vigore del provvedimento.
A luglio, nel periodo immediatamente successivo al termine del divieto di licenziare, si stima che siano stati sbloccati circa 10 mila licenziamenti, ovvero una cifra che rientra nei livelli medi del 2019. Ad agosto, invece, grazie anche alla ripresa dell’economia e alle condizioni facilitanti di accesso alla cassa integrazione, i licenziamenti si sono attestati su valori estremamente contenuti, sempre a detta dell’osservatorio.
Va ricordato, a questo proposito, che lo scorso 29 giugno è stato sottoscritto un avviso comune da sindacati, Alleanza delle Cooperative, Confindustria e Confapi, sotto la guida del premier Mario Draghi e del ministro del Lavoro Andrea Orlando, con l’impegno ad incentivare l’utilizzo degli ammortizzzatori sociali al posto di ricorrere alla risoluzione dei rapporti di lavoro.
Inoltre va detto che, se il blocco dei licenziamenti ha protetto i lavoratori a tempo indeterminato, coloro i quali ne hanno maggiormente risentito sono stati i lavoratori a tempo determinato e con contratti di collaborazione che, al termine del rapporto lavorativi, non hanno ricevuto il rinnovo del contratto.
I soggetti più penalizzati sono stati i giovani e le donne, ovvero i più deboli all’interno del mercato del lavoro, ed è stato ostacolato il turn-over nelle aziende, sempre a sfavore dei più giovani.
Infine, i sindacati criticano la nuova norma che, a detta loro, di fatto lega il divieto di licenziare alla scelta di utilizzare la cassa integrazione Covid da parte dei datori di lavoro, e per questo motivo spingono affinchè venga ripristinato un blocco generale dei licenziamenti, almeno finchè non venga approvata definitivamente la riforma degli ammortizzatori sociali, che però non sarà pronta prima di gennaio dell’anno prossimo.
La situazione per il prossimo futuro, insomma, presenta molte variabili e molte incognite. Non ci resta che stare a vedere come si evolveranno le cose e quale sarà l’impatto, a vari livelli, di questa decisione sul mercato del lavoro.
Pietro Broccanello