Banche: la manovra di Draghi frena le fusioni?
Le grandi manovre del Governo sono appena iniziate e non mancano sorprese e reazioni al testo presentato da Draghi, soprattutto nel mondo bancario, dove proprio il Premier gioca “in casa”, vista la sua grande esperienza nel settore.
Il tema riguarda la possibilità di fusione e rafforzamento delle banche nostrane, alle prese con operazioni di concentrazione in gruppi tesi al consolidamento e a un posizionamento in grado di governare il mercato italiano e competere con i player stranieri.
Come ci si aspettava nella manovra di bilancio è stata inserita la misura relativa alle fusioni tra banche, ma a sorpresa, il governo ha previsto un tetto di 500 milioni di euro ai benefici fiscali per le fusioni tra istituti.
Le prime reazioni tra gli addetti ai lavori evidenziano un placet da parte dei 2 piccoli istituti e un certo malumore tra i grandi player che devono rivedere i loro piani di fusioni e acquisizioni anche alla luce di una limitata convenienza sul piano fiscale.
Nel “gioco delle coppie” tra le banche italiane e delle convenienze dei vari soci, è venuta di colpo a mancare quella dote miliardaria che rendeva alcuni di quei matrimoni di più sicuro interesse rispetto ad altri.
È da leggere in questo senso anche il brusco stop di Unicredit rispetto a Mps, così come gli umori di piazza Affari rispetto all’operazione di fusione tra Banco Bpm e Bper, uscite con un pesante crollo in Borsa proprio dovuto all’incertezza sul proprio futuro, ora da ripensare daccapo.
Chi invece ha motivo di esultare sono le realtà più piccole, come Carige, Popolare di Sondrio e Credem che escono rafforzate dall’ultima seduta di piazza Affari.
Il denominatore comune di questi andamenti, ora appare chiaro, è legato agli incentivi con il tetto voluto da Draghi.
Nella Legge di bilancio in dieci righe si conferma di altri sei mesila proroga dei termini per usufruire dei benefici fiscali in caso di fusioni tra istituti, fino a metà del 2022, ma, come si apprende, il beneficio fiscale non potrà superare i 500 milioni di euro.
È una cifra ben lontana dalle cosiddette Dta (Deferred tax asset) miliardarie, previste nel portafoglio delle banche italiane di taglia medio-grande, che con le vecchie regole garantivano importi miliardari con la trasformazione in crediti d’imposta.
Un esempio: la possibile unione tra Banco Bpm e UniCredit, secondo le stime degli esperti poteva portare a un beneficio fiscale di quasi 2,7 miliardi.
Va da sé che il taglio degli incentivi riduce l’appeal speculativo sul consolidamento del settore. Rimane una residua possibilità legata alle operazioni che venissero concluse entro fine anno, ma in questo caso occorre che i rispettivi cda si attivino in gran fretta per dare il loro benestare entro fine anno, scenario a dir poco difficile.
Le reazioni del mercato non si sono fatte attendere e nessuno scommette su operazioni last minute, soprattutto se parliamo di operazioni del calibro di Unicredit-Mps.
Riprendono la scena altre realtà, come Carige che di colpo si ritrova incentivi e tetti tarati su misura per le proprie dimensioni d’impresa.
Il “gioco delle coppie” da mesi avviato e non ancora giunto a conclusione si arricchisce di un colpo a sorpresa che modifica in maniera significativa lo scenario rispetto al quale occorre una riflessione per capire se i tanti matrimoni promessi potranno far convolare le major oppure no.
Pietro Broccanello