Confessioni di una mente…delusa (dal sistema italiano)
Premetto: alle volte si scrive solo perché in preda all’agitazione. O ad un attacco di (quasi) panico. Così come capitò al sottoscritto nel lontano 2013. A quel punto scrivere diventa una scusa, un mero esercizio di stile, che aiuta a tranquillizzarsi. Quindi, fatevi due risate, se riuscite. E se un giorno vi capitasse di arrabbiarvi, non consultate un medico: sfogatevi scrivendo. Aiuta, credetemi.
Buona lettura.
L’uomo della caverna usava la clava per dirimere qualunque diatriba tra simili. Ciò soprattutto capitava nei diffusissimi casi di incidenti stradali tra velociraptor, il più diffuso tra i mezzi di trasporto disponibili all’epoca. Pochi lo sanno, ma ci fu un periodo nella storia del mondo in cui uomini e dinosauri convissero quasi felicemente. I dinosauri, infatti, venivano addomesticati e usati come mezzi di trasporto. Il grande diplodoco, ad esempio, si rivelò uno scuolabus decisamente capiente, ed essendo erbivoro, ottenne facilmente la fiducia dei genitori. Il triceratopo, invece, fu abbandonato presto perché difficile da parcheggiare: con quel grosso muso cornuto accadeva spesso di rigare i dinosauri altrui. Anche perché gli specchietti retrovisori non erano ancora stati inventati.
Sebbene in ritardo su alcuni fondamentali passi tecnologici (vedi il caso degli specchietti), il cavernicolo dimostrò invece creatività ed efficienza in molte altre situazioni. Alcuni inaspettate. Un esempio è quello del pagamento del ticket per le prestazioni sanitarie. Quando l’uomo della caverna doveva fare un esame medico speciale, si recava allo sportello dell’azienda sanitaria locale più vicina, prenotava la prestazione e veniva indirizzato alla prima banca disponibile per saldare il ticket (che, per la verità, allora si chiamava “toc”: più onomatopeico e adatto all’era). Allora le banche erano enormi palafitte off-shore, non soggette ad alcuna legge tribale, che facevano il bello e il cattivo tempo, senza curarsi delle necessità dei propri correntisti. Qualcosa di molto simile a quello che accade oggi (le uniche differenze sono gli edifici – le palafitte, oggi, sono diventati templi dove si pratica sovente il culto del dio spread – e l’igiene personale – i dipendenti si fanno quasi sempre la barba). Ad ogni modo, tralasciando questi ed altri dettagli, quando l’uomo primitivo pagava per ottenere la prestazione desiderata, svuotando un voluminoso sacchetto di pietre, il bancario era solito archiviare i “liquidi” e convocare uno pterodattilo messaggero. Quindi, il medesimo bancario legava al collo del volatile una tavoletta di pietra con un breve messaggio scolpito. Lo pterodattilo, volando ad ali spiegate, raggiungeva la sede dell’Asl locale nel più breve tempo possibile e riferiva dell’avvenuto pagamento. Questo metodo, veloce e funzionale, venne adottato per diverse ere, anche per via della longevità degli pterodattili e della loro resistenza alle intemperie. Capitava di rado che alcuni esemplari venissero abbattuti dai fulmini e, in tal caso, non disponendo le banche di alcuna polizza assicurativa, non rimaneva che addestrare un altro pterodattilo.
Le assicurazioni arrivarono molto più tardi, nel medioevo, quando il compito degli pterodattili fu trasferito ai cavalieri senza rango. In quel periodo andava di moda mettere a ferro e fuoco interi villaggi e, come è noto, anche i roghi di streghe erano molto popolari. Ciò nonostante ai cavalieri spettava, tra le altre cose, anche il coraggioso compito di trasferire alle Asl aggiornamenti sullo stato dei pagamenti di vassalli, valvassori e valvassini. E per farlo correvano enormi rischi. Fu allora che un menestrello originario del Canton Ticino, Herbert Zurich, stanco della bassa redditività del proprio mestiere, inventò la prima assicurazione furto e incendio. I cavalieri si assicurarono quasi tutti, senza realizzare che, essendo senza rango (molti nemmeno senza figli), qualora fossero caduti in disgrazia, nessuno avrebbe goduto dei benefici della polizza stipulata. Zurich perciò divenne ricchissimo in breve tempo e la sua professione fu trasferita alle generazioni successive che, ancora oggi, operano con il suo nome. Qualunque fosse lo stato assicurativo del cavaliere, rimaneva il fatto che anche in questo caso la trasmissione dei dati sui pagamenti alle Asl locali era veloce e puntuale (di norma, infatti, i cavalieri cadevano tutti nel viaggio di ritorno).
Secoli dopo, nel 2013, di cavalieri non ce n’erano più. Se ne contava uno in Italia, che aveva delle televisioni tra le altre cose, ma era stato espulso dal Senato e comunque all’Asl non andava mai. C’erano però internet, sms, email, smartphone (così smart da riuscire a farsi comprare a prezzi imbarazzanti), app, cloud computing e tanto altro. Insomma, la tecnologia aveva fatto passi da gigante: l’utente medio poteva usare internet per ordinare pane fresco, i parlamentari potevano votare comodamente da casa, anche durante le dirette di X Factor – la Maionchi non era d’accordo, ma nessuno le diede retta – e alcuni studenti indossavano t-shirt elettroniche con Gps così che Facebook potesse sempre essere al corrente della loro posizione. Ciò nonostante informare l’Asl sullo stato dei pagamenti dei ticket pareva invero impossibile. Capitava, infatti, il giorno diciannove novembre di quell’anno, che un cittadino si recasse presso una delle Asl incriminate per ritirare alcune analisi il cui ticket era stato saldato (in valuta diverse dalle pietre) esattamente quindici giorni prima. Capitava, sempre quel giorno, che il dipendente dell’Asl non fosse in grado di rilevare se il pagamento fosse avvenuto o meno, sebbene, come detto, fosse stato effettuato con addirittura quindici giorni di anticipo (internet, da quelle parti, era evidentemente sottovalutato e gli pterodattili erano esauriti). Sicché, capitava ancora, lo stesso giorno e nella medesima sede che, in mancanza di messaggeri o cavalieri senza rango, il dipendente dell’Asl chiedesse al paziente (molto paziente) di pagare nuovamente l’intero importo, pena la mancata consegna delle analisi richieste. Il cittadino pagava nuovamente (sorprendentemente allo stesso istituto di credito), ritirava gli esami e, successivamente, si recava presso la filiale bancaria di riferimento a chiedere copia del primo pagamento del ticket. E siccome “carta canta”, si dirigeva nuovamente all’Asl per chiedere il dovuto risarcimento (si narra che, pensate un po’ voi, il primo nella storia ad utilizzare l’espressione “carta canta” fu proprio Herbert Zurich, ex-menestrello, all’atto di sottoscrizione della sua prima polizza assicurativa medievale). Ma l’Asl, infame,a quel punto non poteva che chiedere al paziente di compilare una richiesta di rimborso affinché il credito fosse restituito nel giro di “soli” 45 giorni. A quel punto, lo sventurato cittadino, spazientito e prossimo ad un attacco di disperazione, contattava la sede centrale dell’Asl per avere copia del modulo destinato a formalizzare la richiesta di rimborso. Tale documento, informava il nuovo dipendente al telefono, non poteva essere inviato via email, ma solo via fax (sic!). Ciò naturalmente avveniva quando il resto del mondo era capace di videotelefonare o inviare email accarezzando lo schermo di un tablet. Il fax, a quel punto, sembrava un ricordo lontano quanto una Lada Niva (ricordate la Lada Niva? Ecco, appunto).
Che dire? Il cittadino, arreso, aveva iniziato a legarsi una corda al collo per la disperazione, quando un altro dipendente dell’Asl, al telefono, decise di sovvertire le regole e cedere alla tentazione di inviare una email per semplificare la vita al paziente. Incredulo, il paziente, chiedeva: “E’ sicuro di poterlo fare?”. Risposta: “Non saremmo autorizzati, ma non posso spedirle un fax perché il dispositivo è fuori uso e di pterodattili, che io sappia, non se ne trovano più”.
Dall’altra parte della cornetta arrivò un sorriso. E finalmente, la pace dei sensi.
Marco Menoncello