Le scuole in Italia verranno chiuse dal governo. No, scusate, stavamo scherzando. Non si chiude nulla. Attenzione, forse chiudiamo, ma ve lo diciamo dopo. Ma avevate detto che chiudevate. No, no, avete capito male, abbiamo chiesto al comitato scientifico se dovevamo chiudere.
Queste, in sintesi, le ore comprese tra le 14 e le 18,30 di ieri. Il Governo Italiano, ufficialmente, conferma ai suoi amati cittadini contribuenti che non sa se tenere o meno aperte le scuole. Ha bisogno del comitato scientifico che gli dica se chiudere. Se lavarsi le mani. Se andare a casa o mettersi in auto quarantena da negativi, come Patuanelli. Chiusi dentro al Mise, perché visti i tempi se lasci incustodita la poltrona non sai se la ritrovi libera.
Ecco, a questo punto, facciamo a capirci: meglio chiudere il governo. Teneteli in quarantena comunicativa. Che parlino con i Decreti della Presidenza del Consiglio. Così, almeno, ci mettono meno a farli uscire visto che condizionano la vita di milioni di Italiani e Giuseppi ha la brutta abitudine di farceli aspettare.
Giochiamoci la carta The Young Pope: bevano cherry cola alle riunioni e si mostrino il meno possibile ed ogni volta, possibilmente, con qualcosa di intelligente da dire. Perché vedere la Azzolina affermare candidamente che loro non chiudono nulla e che ci faranno sapere nel pomeriggio, a scuole aperte e genitori indecisi sul da fare non fa davvero bene a nessuno. Né a loro né alle istituzioni.
Il secondo problema è il comitato scientifico. Passato da utile strumento consulenziale a deus absconditus dal cui oracolo dipende. Ogni. Singola. Decisione. Ho capito scegliere secondo scienza, ma mi sfugge perché, a questo punto, non tagliamo la figura dell’esecutivo e passiamo alla tecnocrazia. Burioni Dio-Imperatore. Il caso, cinico e baro, ha voluto purtroppo che in questa occasione il mondo scientifico fosse spaccato. E l’unica soluzione, ovvero il compromesso, è stata lasciata da prendere ad una classe dirigente in preda a dubbi esistenziali continui. Il risultato è stato devastante. Misure ondivaghe. Comunicazione ciclotimica, con momenti di ansia alternati ad insano ottimismo.
Come suggeriva qualcuno, siamo nelle cinque fasi di gestione del dolore. All’inizio l’incredulità: è poco più di un raffreddore. Poi la rabbia: perché non hanno chiuso le frontiere, infami! Poi la contrattazione: se sopravviviamo possiamo riprenderci la nostra manifattura e superare il secolo cinese (durato vent’anni. È dai tempi del secolo breve che i comunisti hanno problemi a raggiungere i cento anni con i loro governi). Ora la depressione: non ne usciremo mai più. La nota di ottimismo è che l’ultima fase è l’accettazione: se ci è stata mandata questa prova è perché possiamo superarla. E cominceremo a fare le magliette con lo slogan del secolo: “sopravvissuto a Giuseppi ed al Coronavirus”.
Luca Rampazzo