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Lo scorso 2 dicembre 2021 si è tenuto a Roma un Seminario Interreligioso di Studi su “Il sistema universale dei diritti umani e delle libertà fondamentali – Riflessioni a margine della pubblicazione di Federico Ferraro La libertà di pensiero, coscienza e religione nel sistema universale dei diritti umani”(Gambini Editore) con l’intervento, tra gli altri, di Mons. Francesco Pesce, responsabile della Pastorale per il lavoro del Vicariato di Roma, Stefano Bani, Presidente del Forum Cultura Pace Vita, Abdellah Redoune, Segretario Generale del Centro Islamico Culturale d’Italia, Massimiliano Boni, Componente del Consiglio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Luigi De Salvia, Presidente di Religions For Peace Italia e altre personalità del mondo della cultura.
La pregevole opera del dottor Federico Ferraro – incentrata su uno studio della tutela internazionale ed europea della libertà di religione –costituisce un lavoro di estrema attualità in quanto ci offre la base di partenza per una riflessione su alcuni temi di vitale importanza per la comunità politica, a livello internazionale ma anche a livello nazionale, quali il rapporto tra politica e religione, il rapporto tra la religione e l’identità di una comunità e il rapporto tra comunità di credenti appartenenti a fedi diverse.
Si tratta di temi che, intersecandosi, attraversano e spesso performano le relazioni tra gli Stati e le relazioni tra gli individui all’interno degli Stati ovvero le relazioni tra gli Stati e le comunità transnazionali.
Un filosofo e politico tedesco, Christoph Böhr, nell’interrogarsi sui motivi per cui la politica debba tutelare la religione evidenzia come solo l’ispirazione religiosa consenta di assolutizzare il concetto di dignità umana. Tale assolutizzazione diviene la migliore garanzia a sostegno di quello Stato costituzionale liberale basato sul pluralismo democratico che costituisce ad oggi l’elaborazione più elevata della Politica. Al riguardo occorre considerare quanto il pensiero di Böhr risenta di come tale assolutizzazione viene sancita nella Costituzione tedesca, la Legge Fondamentale, che al comma 1 dell’articolo 1 sancisce che “La dignità dell’uomo è intangibile”. Ma si tratta di un principio che pervade le Costituzioni di tutti i Paesi democratici e i patti sui diritti umani da questi sottoscritti.
Alla luce di tali riflessioni possiamo quindi rileggere l’opera di Federico Ferraro sulla tutela della libertà di religione non più solamente come una pregevole dissertazione su uno dei capitoli di un ideale catalogo dei diritti umani bensì come l’analisi di un profilo checontribuisce alla costruzione dell’architrave su cui poggia l’intero sistema di tutela dei diritti umani.
In altri termini, cosa resterebbe del sistema dei diritti umani se venisse negato il principio della dignità della persona?
Tuttavia – come, purtroppo, abbiamo visto nella storia – quanti “buoni” motivi esistono per calpestare il principio della dignità della persona (ragion di Stato, conflitti, l’imporsi di una maggioranza su una minoranza) se non conferiamo a taleprincipioun valore assoluto, che trascenda le categorie prettamente giuridiche? Mal’atto laico di conferire un valore assoluto ad un principio, quale la dignità della persona, presuppone pur sempre un’innegabile ispirazione culturale e religiosa la quale induce, per altro verso, a interpretare in modo conseguente anche la tutela della libertà di religione e ad ascrivere a tale libertà un determinato significato.
A tale riguardo appare particolarmente illuminante la correlazione tra libertà religiosa e democrazia – dove la prima conferisce quasi un apporto “dinamico” alla seconda –evidenziata nella Mozionesu Dignità e Libertà della Persona, adottatadall’Assemblea dei Parlamentari del Mondo in occasione del “Giubileo dei Governanti e dei Parlamentari”, il 4 e 5 novembre 2000, al cuiSegretariato internazionale ebbi l’onore di partecipare. I parlamentaridi tutto il mondo partecipanti al Giubileo si impegnavano, con la suddetta mozione, ai sensi del paragrafo 5,a rivolgere la loro azione politica nelle istituzioni nazionali e a livello internazionale al fine di “Promuovere la libertà religiosa, riconoscendone l’apporto essenziale alla democrazia e al progresso umano, evitando l’intolleranza, anzi mirando a far riconoscere il senso di fratellanza e di ricchezza umana che ogni fede può contribuire a realizzare nel rispetto di tutti”
L’opera del dottor Ferraro, se letta in controluce, può contribuire quindi indirettamente anche ad una riflessione sulla religione come fattore identitarioche, attraverso un processo di sintesi tra culture diverse, concorre alla declinazione dell’insieme dei diritti in cui si riconosce una comunità plurale di popoli, di tutti i diritti e non solo di quelli inerenti in senso stretto alla libertà religiosa e di opinione.
Si tratta di un argomento molto delicato, come si riscontra dai dissidi emersi sull’opportunità di un richiamo alle tradizioni cultural religiose nel corso delle trattative sul Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, firmato nel 2004 e poi non ratificato, e nel successivo Trattato di Lisbona sull’Unione europea, firmato nel 2007, che ha “costituzionalizzato” nel sistema comunitariooltre che la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, i principi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU).
Infatti, anche in assenza di un consenso sull’opportunità o sulle modalità per definire tale contributo della tradizione cultural religiosa ai fondamenti identitari di una comunità, la visione antropologica che scaturisce da tale identità si riflette nel modo di declinare le norme giuridiche sulla libertà religiosa, che sono comunque influenzate da quella visione antropologica. A tale proposito, le rispettive specificità evidenziate dall’autore Ferraroin merito agli strumenti europei e “onusiani” di tutela della libertà di religione denotano indirettamente la correlazione tra l’identità di una comunità politica e il suo approccio al tema della libertà religiosa. Risente infatti necessariamente di tale visione antropologica la declinazione di temi qualiil diritto di cambiare odi manifestare le opinioni religiose; la diversa tutela rispettivamente riconosciuta ai singoli individui ovvero alle comunità di persone che si identificano in una religione.
Tra i tanti spunti di riflessione offerti dall’opera del dottor Ferrarovorrei infine soffermarmi su due aspettisolo apparentemente tecnici ma che in realtà assumono una portata politica di grande attualità: gli strumenti di tutela individuale e la tutela collettiva delle comunità di credenti.
Per quanto attiene al primo aspetto, l’Autore ben descrive come gli strumenti predisposti nell’ambito della CEDU siano più efficaci ed avanzati – in quanto prevedono, tra l’altro, l’accesso deisingoli individui, oltre che degli Stati, agli strumenti di tutela – di quelli disponibili nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite.
Per quanto concerne la tutela individuale della libertà religiosa nell’ambito delle Nazioni Unite, inoltre, è interessante notare come dalla casistica disponibile emerga che uno strumento non dotato di poteri vincolanti per gli Stati, quale quale lo Special Rapporteur on freedom of religion or belief istituito nell’ambito del Consiglio peri diritti umani di Ginevra ha conseguito effetti più incisivi di uno strumento pur dotato di poteri cogenti,quale la Commissione istituita nell’ambito dell’International Covenant on Civil and Political Rights (CCPR). In proposito si evidenzia come lo sviluppo a livello onusiano di strumenti di efficacia almeno analoga a quelli previsti nell’ambito del Consiglio d’Europa sarebbe auspicabile per l’affermazione universale del principio dianzi citato del rispetto della dignità della persona.
Anche per quanto riguarda, infine, la tutela collettiva di comunità e gruppi di credentisi riscontra un maggiore sviluppo degli strumenti di tutela previsti dal Consiglio d’Europarispetto a quelli resi disponibili dal sistema delleNazioni Unite.
In proposito si rileva l’importanza del tema sia sotto il profilo specifico dell’effettivo godimento dei diritti di libertà religiosa, sia sotto un profilo più generale di prevenzione e composizione di crisi e conflitti interni e internazionali. Spesso, infatti, situazioni di crisi che interessano le condizioni di minoranze ovvero i rapporti tra comunità diverse che convivono sullo stesso territorio vengono correlate – non di rado, peraltro, come pretesto – all’appartenenza religiosa dei componenti di tali comunità. Lo sviluppo di principi condivisi, a livello internazionale, in primo luogo, sui criteri per il riconoscimento di tali comunità di credenti e, in secondo luogo, supiù efficaci strumenti giuridici di tutela potrebbe pertanto offrire un contributo sostanziale alla soluzione di situazioni di crisi o di aperto conflitto e alla Pace.
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