Calo demografico: è vera emergenza
Da anni il ritornello della crisi delle nascite appare qua e là tra le notizie di secondo piano e qualche convegno pro-life, ma la gravità del fenomeno è per lo più sottaciuta o sottovalutata.
La realtà di una situazione foriera di conseguenze sociali ed economiche nel lungo periodo va messa al centro del dibattito quanto prima per avviare politiche che possano ribaltare una sentenza ad oggi già certa: di questo passo intere zone dell’Italia rischiano la desertificazione e il benessere delle future generazioni è a forte rischio, tralasciando fenomeni di “colonizzazione” al contrario da parte di popolazioni e culture molto differenti dalla nostra.
Il campanello d’allarme è suonato dalle colonne del Sole 24 ore che riprende le statistiche degli ultimi vent’anni elaborate dall’Istat.
Da inizio del nuovo millennio in Italia mancano all’appello oltre 135mila nascite all’anno rispetto al secolo scorso, con punte di denatalità al Sud del 40%. Solo in poche città il trend è meno drammatico, in qualche situazione grazie anche a politiche che sostengono le giovani coppie che vogliono procreare.
L’anno spartiacque è il 2008, quello della crisi partita dagli USA con il fallimento di Lehmann Brothers e trascinatosi per un decennio anche da noi, prima del tracollo degli ultimi due anni di emergenza pandemica.
Dal 2000 ad oggi le nascite sono calate quasi di un terzo (-28%) rispetto al secolo scorso.
Anche il Presidente rieletto Mattarella ha stigmatizzato la situazione nel suo discorso di (re)insediamento:
«Superare il declino demografico a cui l’Europa sembra condannata», a riprova di una situazione allarmante di cui forse si comincia a prendere davvero coscienza.
La ricerca Istat-Sole 24 ore analizza la situazione a livello geografico ed evidenzia il tracollo del Sud Italia, terra notoriamente molto prolifica in passato, capeggiata da città come Barletta-Andria-Trani in cui il decremento anagrafico raggiunge addirittura il 40% come saldo tra nascite e decessi rispetto a fine XX secolo.
Anche la feconda Emilia, con Parma registra una differenza del 13% rispetto al censimento 2002. Meno pesante, ma altrettanto preoccupante.
In realtà la ricerca evidenzia come fino al 2008 le nascite erano in costante crescita, ma l’effetto della grande crisi ha segnato una svolta negativa potente che è proseguita fino ai giorni nostri e che la pandemia ha ulteriormente stimolato, considerando che nel solo mese di Gennaio 2021 si sono registrate 5.000 nascite in meno rispetto allo stesso mese dell’anno precedente (-13,6%).
Risulta fin troppo evidente il nesso diretto esistente tra crisi economica e denatalità: in condizioni già difficili per la vita di coppia mettere al mondo una creatura diventa un impegno particolarmente difficoltoso e dalle prospettive incerte che, senza aiuti sostanziosi, disincentivano in modo decisivo.
Da otto anni a questa parte – commenta Gian Carlo Blangiardo, presidente Istat – il saldo naturale negativo, ormai nell’ordine delle 300mila unità annue, porta quasi inevitabilmente a proseguire lungo la via del calo del numero di residenti».
L’analisi territoriale conferma che la crisi demografica è generalizzata, con variazioni locali di poco conto.
Fino al 2008 il trend negativo era prevalentemente localizzato nel Sud Italia e nelle isole, mentre al Centro Nord vi erano anche aree a saldo positivo, ma l’effetto della crisi economica ha provocato un rapido allineamento di indice negativo in tutto il Paese.
Alcuni enti locali hanno contenuto il fenomeno con iniziative a sostegno delle famiglie, come ad esempio i nidi gratis, ma si tratta di misure parziali e non sostenibili da un singolo comune nel tempo. Occorre un forte sostegno a livello governativo che introduca misure stabili per il rilancio demografico. Ne va del futuro del Paese e della cultura di un popolo che rischia di sparire.
Pietro Broccanello